venerdì 31 dicembre 2010

Salve, 2011...

Auguri all' umanità.
E, in modo particolare, a chi ne ha più bisogno:
  • le giovani generazioni;
  • gli operai buggerati;
  • i disoccupati e le disoccupate (me compresa);
  • il precariato tutto;
  • i senza tetto ed i senza speranza;
  • i custodi della bontà.

Un po' di dolcezza, va...

 

giovedì 30 dicembre 2010

Amarcord

Scrivo qui, in queste stanze, quello che non si può più dire senza ricevere uno sguardo sarcastico ed un risolino seguito da spalluccia; scrivo quello che non ho mai abbandonato nella memoria e che è entrato nelle arterie per scorrervi fino alla fine del mio tempo.
La vita di ciascuno di noi è un tentativo di conciliazione eterna tra ragione, sogno, fortuna; ma  è nel sogno che più volentieri si indugia ed è nel più inconsistente dei sogni che si attinge la vera forza.

Sorrido, pensando a come, negli anni 70, il mio attempato, distinto, civile, tutt’ altro che rivoluzionario e colto professore di letteratura si commuovesse ed empatizzasse a tal punto con quanto scrivevo nei miei ingenui temi –laddove vertevano sulla condizione giovanile, intrisi di una travolgente laica religiosità -, da valutarli con il massimo dei voti e rendermi inavvertitamente odiosa ai miei compagni di studio, che in lui rilevavano soltanto il buffo desueto aspetto esterno. Un uomo in gamba, il professore, perché non è da tutti riuscire a superare le convinzioni intellettuali legnose e rigide su cui si è uniformata l’ intera propria esistenza ed apprezzare, magari, visioni diametralmente opposte e contrastanti: io spero, se non altro, di avergli regalato un frammento di sogno della mia generazione, e che quel frammento gli sia rimasto nel cuore a lungo, come una rifrazione di luce. Quanto all’eredità che lui mi ha lasciato, conservo nello scrigno della memoria il ricordo di un incontro casuale, avvenuto anni dopo la conclusione dei miei studi, sui gradini di un ponte veneziano: “La cito ancora ai miei alunni”, mi disse, ed io lo presi come un atto d’ amore, indelebile e dolcissimo.

Penso anche a come sarebbe bello se i figli d’ oggi ci regalassero i loro, almeno come omaggio alle nostre illusioni sbriciolate e deluse, ma dalle ceneri delle vecchie generazioni visionarie non è risorto più nulla.
"La mia generazione ha perso", d' accordo, ma non esattamente per sua esclusiva responsabilità. Diciamo che, allora, ha vinto Golia, ma la partita della storia non è mai definitivamente risolta ed ogni cosa ritorna.

Perciò, sono una reduce, non intollerantemente infelice e non completamente distrutta, che sa perfettamente di non poter salvare nient’ altro che la convinzione, almeno, di non aver scherzato, né stupidamente gigionato: la riprova sta nella vita vissuta più tardi e nella capacità di resistenza. Anzi: di resilienza. Ogni tanto qualcosa riesce a produrre ancora esplosioni di gioia.

Vedo che le fila dei saltimbanchi sono sempre più nutrite, che politicanti da strapazzo saltano come grilli da una barricata di carta all' altra e non se ne vergognano neppure un po’: santoddio –mi dico-, ma è ora che mentite a voi stessi, oppure mentivate, invece, allora, e tutti noi, grulli, quasi quasi vi abbiamo giudicati attendibili? Rimane un arcano, uno degli innumerevoli della nostra epoca di mediocrità assurte allo scranno del comando. Ma eravamo giovani.

***
Correva l’ anno 1956 quando fu pubblicato dalla casa editrice americana City Lights Books di Lawrence Ferlinghetti il libro di poesie “Howl and others poems” di Allen Ginsberg. La prima parte della celebre poesia “L’ Urlo” echeggiava nella mente di una vera moltitudine di giovani (me compresa, molto più tardi, quando la scia hyppie arrivò in Italia), che in essa riconobbero una nuova bibbia ed una nuova prospettiva del mondo, in aperto contrasto con la società americana guerrafondaia, bigotta, asfitticamente piccolo-borghese e falsamente moralista, asservente però in primis il dio denaro; società e modello di democrazia che ancor oggi pretende di esportare in tutto il mondo.

Era la voce di una Speranza, invero piuttosto rabbiosa, e la ricerca di un’ alternativa di vita, in un mondo in cui fosse possibile dare aria ed ali anche ai sogni, alla creatività, alla pace, all’ uguaglianza, alla gioia; un mondo che vivesse anche di poesia e rispettasse la libertà. Suonava, all’ incirca, così:



Urlo di Allen Ginsberg

“a Carl Solomon (amico psicopatico conosciuto in un ospedale psichiatrico. N.d.Sirio)

Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla follia, affamate, nude, isteriche,
trascinarsi per le strade negre all'alba in cerca di una dose rabbiosa,
hippie dalla testa d'angelo bruciare per l'antica paradisiaca connessione alla dinamo celeste nel macchinario della notte,
che la povertà e gli stracci e gli sguardi spenti e lo sballo innalzarono fumando nella sovrannaturale oscurità di appartamenti ad acqua fredda galleggiando oltre le vette di città contemplando il jazz,
che mostrarono i loro cervelli spogli al Paradiso sotto l'El e videro angeli Maomettani barcollare sui tetti dei condomini illuminati,
che attraversarono università con occhi freddi raggianti allucinando l'Arkansas e la tragedia della luce di Blake in mezzo ai dottori della guerra,

…”


Versi deliranti, molto più deliranti di quelli di Whitman, nel suo “Foglie d’ erba”, ma in un certo senso giustificati da un’ esplosione di indignata incapacità a tollerare oltre. Il raccapriccio della devastazione della bomba atomica e la ferocia del conflitto in Vietnam, offrivano al mondo il lurido spettacolo di una guerra orribile, dalle connotazioni apocalittiche, dove l’ ultima goccia di umanità era evaporata, una generazione di giovani sacrificata, per lasciare il posto al demoniaco deserto della morte e dell’ immonda bestialità, in nome della supremazia e del potere.

Versi profetici, dall’ intento “taumaturgico”, contro l’ orrore dell’ omologazione delle coscienze.

Il movimento poetico, artistico, letterario che, alla fine degli anni cinquanta, diede vita alla “Beat Generation”, reclutò, tra le sue fila, scrittori, poeti, musicisti, artisti. Personaggi eclettici, nuovi, dai messaggi vagamente cherubinici, intrisi anche di purezza e dolcezza: voci che volevano materializzare dei sogni e darli a chi non aspettava che di crederci. Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassady, e molti altri …
Jack Kerouac conia il termine Beat.
Beat, come “beatitudine” (dalle filosofie Zen), ma anche come “battuto” (sconfitto nella società), e come “battito”, e come “ribellione”, e come “ritmo” (Il Jazz di “The Bird”, Charlie Parker).



E’ una nuova forma espressiva ed esistenziale –o tenta di diventarlo- che non ha alcuna precisa connotazione politica o religiosa, ma risente, nel contempo, di una molteplicità di influssi culturali e sociali. Quella generazione tentò di rompere definitivamente gli schemi esistenti e di darsi regole totalmente nuove, alla ricerca di un modo libero d’ essere. Una parte di essa si bruciò, a causa dell’ abuso d’ alcol e di droghe, considerati espedienti per riunirsi al “tutto”.


Lasciarono una letteratura nutrita ed inedita, testimone di un’ utopia grandiosa.

Fu Fernanda Pivano che ce li fece conoscere, attraverso la traduzione delle loro opere. La sua casa era il riferimento dell’ onda-beat, e fu lei a sollecitare in Italia la creazione della prima rivista “underground”.

Nacquero anche da noi complessi e testi di canzoni che si rifacevano al “beat”: l’ influsso d’ oltre-oceano è stato travolgente, da un punto di vista musicale. Qualcuno ricorda un certo Donovan? Donovan: il poeta della non-violenza, in possesso di una voce particolarissima, dalle modulazioni insolite. I complessi: Equipe 84, i Corvi, i Camaleonti, i Dik-Dik. .. I futuri “big”: Patty Pravo, Caterina Caselli…

***


lunedì 27 dicembre 2010

Elogio di un mistero








Ode al gatto

Gli animali furono
imperfetti lunghi
di coda, plumbei
di testa.
Piano piano si misero
In ordine
Divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso:
nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L’uomo vuol essere pesce e uccello
il serpente vorrebbe avere ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuole essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca d’imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere gatto
ed ogni gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.
Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola
fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto, nuziale
sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto
è immondo
per l’immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente
della casa, arrogante
vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un
irreperibile velluto,
probabilmente non c’è
enigma
nel tuo contegno,
forse non sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono
padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni,
colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gli imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare un gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.


(Pablo Neruda -traduzione tratta da Internet-)

domenica 26 dicembre 2010

Incontri

Ho pudore a far uscire ancora parole: di ciascuna di esse mi vergogno e diffido, e non tanto perché io ne conosca una loro supposta natura o finalità intrinsicamente laide ed abbiette (preferirei crepare piuttosto che mercanteggiarle, anche inconsciamente, per qualche fine egoistico od edonistico), ma, piuttosto, perché so che il viandante che vi si dovesse imbattere, le prenderà come meglio gli aggraderà, decidendo se tacciarle di ipocrisia, di malafede, di narcisismo, di stupidità.  Ecco perché me ne vergogno: loro sono pure ma la semplice apparizione le corromperà, un po' come succede alla mummia esposta all' aria.
A che può servire, allora. A niente, lo so bene. Ed il silenzio? Ugualmente a niente.
La sola propulsione al vivere è la speranza. Spero che, per quanto improbabile, un altro umano le "senta", anche senza necessariamente condividerle. Qui sta tutta la giustificazione di scrivere davanti ad uno schermo intime suggestioni e pensieri, laddove io possa con fermezza respingere la teoria di chi si ostina ad affermare che il vero motivo è sempre l' aspirazione a costituire un centro, un anche piccolissimo polo d' attenzione: io no, non funziono così. Io, magari pateticamente, amo, nel senso che faccio le cose per amore.
La solitudine uccide, ragion per cui siamo tutti morenti, e lassù non c' è nessun dio, mi spiace: ci è rimasto Internet, fino a quando, pure esso, non subirà un' implosione di qualche tipo.
E poi, quello delle parole è un baronaggio, e non così nuovo, in fondo, ed io l' ho in odio, come tutti gli altri espedienti utilitaristici in uso tra noi umani. Probabilmente cadendo in errore concettuale, giudico l' utilitarismo sempre "volgare" : potrebbe essere perfino un retaggio, a mia insaputa, bigotto.
Ma non conosco altro modo per motivarmi, o cercare ragioni, se non ponendo domande oziose, a me stessa ed al mondo.

***

Oggi è un giorno “speciale”, nella sua ordinarietà . Appartiene alla sequenza di momenti ricorrenti nella mia esistenza da che ne ho memoria, con i quali ho perfetta dimestichezza e confidenza. So che tornerà puntualmente, fino alla fine del tempo.


C’ è l’ Angoscia, qui da me. Un’ ospite invadente, ma ormai abbastanza abitudinaria.
Farò, allora, qualche chiacchiera con lei, visto che non mi lascerà andare via senza un cenno di riscontro.
Pare che lei sia la sola risposta possibile ad ogni domanda.
Inoltre, non la temo, la posso imbrogliare. Se non la posso vincere,  posso irriderla.

Sirio: “Sei di nuovo qui? ero sconsolatamente sola, con unico compagno questo sublime, ed insieme inquietante e fatalistico, Requiem di Mozart.

In tale essenziale stato monadico tu costituisci, almeno, una testimonianza di vita, che è certo meglio del nulla.

Sì, lo so lo so, è ciò che accade spesso a certi umani pensanti - quelli malinconici, un po’ ipersensibili, intrinsecamente romantici, ostinatamente stoici, spesso inguaribilmente ottusi-, ma talvolta quel nulla è così opprimente da far accogliere con senso di sollievo perfino un’ ospite cosi scomoda ed invadente.”

Angoscia: “Sei un’ ingrata. Sai che, una volta andata, lascio un obolo di risposte. Sei un’ orribile egoista, come tutti quelli della tua maledetta stirpe lagnosa. Non sei forse tu stessa a crearmi? Non è forse tua esclusiva responsabilità la mia apparizione? La vita ha mille aspetti e mille sono i modi per condurla: tu sei la sola creatrice della tua, non tediarmi. C’ è del sottile compiacimento nel tuo soffrire: sai che contraddistingue chi è avvezzo a sondare gli uomini, e le cose, e gli accadimenti. Tu ami ritrovarti marchiata in questo modo, da sempre: è la tua natura, e ti ci crogioli. Ti dà un sottile compiacimento, una suggestione decadente di elettività. E’ la tua vanità a darti dolore.”

Sirio: “Bugiarda.
Non c’ è alcuna alternativa alla tua presenza, io devo sopportarti, mio malgrado, per la semplice ragione che esisto.
Non l’ ho chiesto, né predeterminato.
Non l’ ho deciso.
Non so chi mi abbia scaraventato quaggiù.
Eppure esisto.
Che sia Dono o Condanna è semplice combinazione di circostanze casuali. Tu sei inevitabile, in questo mio mondo gelido e difficile, in questa dura impopolare scelta d’ essere.
Che poi, a ben guardare, scelta non è: è doverosa necessità di verità, perché neppure la mia indole è opera mia, ma è un marchio di nascita, apposto dal gigantesco timbro cosmico, mosso da forze misteriose, alle nostre menti imperscrutabili.
Noi non facciamo nulla, noi siamo fatti da una Natura impassibile e miope, che, come un gigantesco molosso maldestro, munito di poderose braccia a maglio, sferra colpi strepitosi a destra e a manca: là si apre una voragine, qua s’ erge una montagna per contraccolpo; qui spazza via ogni forma di vita e la terra si raggrinzisce e si spacca, lì getta semi che la rendono lussureggiante e feconda.

Noi moriremo, e ciò ci rende tristi, perché, in questo breve ed accidentato cammino, non abbiamo saputo né potuto evitare d’ amare.
E’ questo, il più crudele dei destini.

Angoscia: “Ma non soltanto, ed anzi forse appena in parte.
Io entro in te perché nessun altro è mai riuscito a farlo.
Prenditela con gli umani, semmai..., io non c' entro.
E' tua la responsabilità di non essere abbastanza amabile, o loro quella di non saper dare sufficiente nutrimento alle tue velleità sentimentali e filantropiche.
Sono tua ospite, sempre più spesso, perché non hai più speranze. Sai che la tua patetica battaglia per sconfiggere la solitudine di una vita è perduta.
Ognuno è solo.
Non scherziamo, suvvia: questa è l’ immutabile Legge dell’ esistenza, per la gente del tuo stampo. Rassegnati.
Non c’è posto che per me, nella stanza di quel tuo esausto cuore straziato e fiero.”

Edvard Munch




Ricordi brevi di intellettuali estinti. Giuseppe Prezzolini, Luigi Einaudi: quando l' idea liberista non poteva essere scissa da quella di rigore scientifico, fiducia nella ragione, civismo, rispetto del lavoro. -2-

( conclude il post -1- dedicato a Giuseppe Prezzolini )

Il Bobbio affermò che si doveva a Salvemini e a Einaudi se in una storia delle idee del primo decennio del Novecento si fossero potute conservare, "tra tante aberrazioni e infatuazioni e distrazioni", quelle liberali e democratiche.

Luigi Einaudi fu un grande economista, Presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, che auspicò una vita politica stimolata dal vivificante contrasto sociale tra le parti, nell' ambito della società civile, da risolvere nel rispetto delle leggi e nella comune convivenza. Liberale era, per lui, "colui che crede nel perfezionamento materiale e morale conquistato collo sforzo volontario, col sacrificio, colla attitudine a lavorare d' accordo con gli altri".

Del socialismo non amava la pretesa di "imporre il perfezionamento con la forza", ma non fu mai avverso alle lotte sindacali ed alle rivendicazioni della classe operaia, considerando la lotta di classe non soltanto importante dal punto di vista economico, ma anche prezioso terreno di progresso educativo e morale.
A suo avviso lo Stato avrebbe dovuto governare il meno possibile, garantire la sicurezza del cittadino, ma limitare al massimo il suo interventismo.

Come gli altri intellettuali di "La Voce" - gli intellettuali dell' epoca-, aveva clamorosamente sbagliato nello sperare che un Paese potesse essere cambiato grazie alla forza dell' intelligenza, del rigore scientifico, dell' etica personale: questi sono, sono sempre stati, sempre saranno i sogni ingenui di poche persone perbene, ma, da che mondo è mondo, chi vince sono i maramaldi, ovunque ed in ogni epoca.
Così è, pure se non ci pare.

***


Le speranze del Mezzogiorno.

"... Invece di profondere milioni a creare nuove e sempre pestifere clientele politiche, la cui natura non muterà anche se manderanno al Parlamento dei politicanti radicali o socialisti invece dei sedicenti conservatori di adesso, invece di fare ciò che è inutile e dannoso, invece di ingerirsi in ciò che è meglio che la gente impari a far da sé, lo Stato faccia ciò che gli individui isolati non sono stati finora capaci di fare:
   - renda giustizia a tutti ed instauri il regno della sicurezza personale per chi vuol lavorare, per chi osa dai grossi borghi abitati recarsi a dimorare nelle campagne disabitate e malsicure. Qual pazzia è quella da cui son presi i saltimbanchi e gli azzeccagarbugli che sono ormai tutte le classi dirigenti d' Italia, di far fare allo Stato il navigatore, il ferroviere, il prestatore di denari a mite interesse agli immeritevoli che chiedono e persino a coloro che nulla pretendono (proprietari delle Romagne), il venditore di zolfo e di agrumi; mentre si trascurano in modo indegno, vergognoso, quelle che furono sempre dello Stato le funzioni essenziali: tenere a segno i malviventi e impartir giustizia rigida ed imparziale a tutti? Contro questo andazzo che rende l' amministrazione pubblica manutengola e complice dei peggiori elementi sociali, dispensiera di favori agli inetti è d' uopo insorgere con tenacia e violenza;
   - ricostituisca la terra, non colla colonizzazione e con sussidi inutili, ma col rimboschimento diretto dei territori più elevati, regoli con bacini e serbatoi il deflusso delle acque ed intraprenda poi le bonifiche delle paludi malariche della pianura. L' opera sua sarà tanto più feconda se si riuscirà a vietare alla burocrazia, orgogliosa di aver salvato il monte, di scendere al colle, dove l' albero crescerà da sé, per tornaconto economico del contadino, purché non gli sia fatto venire in odio la tirannia dei regolamenti;
   - istituisca scuole, dove le giovani generazioni siano addestrate all' uso degli strumenti, con cui l' intelletto si eleva e si formano le utili capacità sociali.
Sovratutto lo Stato distrugga l' opera sua del passato.
...
Non solo di 'non fare', amico Nitti, ha bisogno il Mezzogiorno, ma anche di 'disfare' il mal fatto.
..."

(stralcio articolo apparso su "La Voce" 1911)

giovedì 23 dicembre 2010

Escursus in qualche modo natalizio. Ricordo di Borges: un grande teologo ateo.

"Secondo Coleridge -aggiunge- Shakespeare non è un uomo, ma una variazione letteraria del Dio infinito di Spinoza. Ricorda che, per Hazllit, Shakespeare 'non era nulla, ma era stato tutto ciò che sono gli altri, o ciò che possono essere'. Altrove dirà che chiunque legga un verso di Shakespeare è, in quel momento, Shakespeare. Tutti siamo tutto, nessuno è qualcosa: "L' intuizione confusa di questa verità ha indotto gli uomini a immaginare che non essere sia più che essere qualcosa e che, in certo modo, sia essere tutto'.

Anche il Dio negato è tutto: è l' insondabile, infinito sogno che si sogna.
La sua inchiesta è assillante: In Discussione percorre Basilide, Valentino e le 'strambe e torbide' cosmogonie gnostiche nelle quali trova ammirevole l' idea 'della creazione come fatto casuale...'. 'Quale maggior gloria per un Dio che quella di essere prosciolto dal mondo?'  Compulsa Pascal che 'ci dicono, trovò Dio, ma la sua manifestazione di quella gioia è meno eloquente della sua manifestazione del sentimento della solitudine'. Il teologante, nell' epilogo ad Altre inquisizioni, avverte che egli semplicemente stima 'le idee religiose o filosofiche per il loro valore estetico o anche per quel che racchiudono di singolare e di meraviglioso' .  Ci ricorda più volte che la teologia non è che un ramo della letteratura fantastica. Sono Parmenide, Platone, Spinoza, Kant, Bradley gli ' insospettati e maggiori maestri' della letteratura fantastica: 'Infatti, che cosa sono mai i prodigi di Wells e di Poe -un fiore che arriva dal futuro, un morto sottoposto all' ipnosi- confrontati con la invenzione di Dio?'

E tuttavia continua a sfogliare la Bibbia e i Vangeli: lo affascinano la Genesi, la Cabala, le parabole, il Discorso della Montagna. Il suo 'goce estetico' si ribella davanti alla Santissima Trinità: 'Immaginata di colpo, la concezione di un Padre, di un figlio e di uno spettro, articolati in un solo organismo pare un caso di teratologia intellettuale...'

Ma il Dio che si incarna e che dalla sua Eternità ed Onnipresenza si concede alla vita degli uomini, gli detta una delle sue più straordinarie intuizioni poetiche: Giovanni,1,14 (in Elogio dell' ombra). Qui Dio, il suo Nessuno, ricorda con rimpianto la sua esperienza umana, il suo essere stato Cristo: 'Vissi stregato, prigioniero di un corpo/ e di un' umile anima/Conobbi la memoria,/che non è mai la medesima/...Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,/l' ignoranza, la carne,/i tardi labirinti della mente,/l' amicizia degli uomini, la misteriosa devozione dei cani...' 
Il Dio incarnato di Borges ha nostalgia dell' esperienza che lo portò sulla croce: 'Gli occhi miei videro quello che ignoravano:/la notte e le sue stelle/...il sapore del miele e della mela/... l' odore della pioggia in Galilea... Ricordo a volte e ho nostalgia,/l' odore di quella bottega di falegname'.

(da: Jorge Luis Borghes-Tutte le opere- Meridiani Mondadori Vol.primo-Introduzione Domenico Porzio)


BUONE FESTIVITA', con affetto vero, A COLORO CHE SPERO AMICI. Morena.

mercoledì 22 dicembre 2010

Ricordi brevi di intellettuali estinti. Giuseppe Prezzolini, Luigi Einaudi: quando l' idea liberista non poteva essere scissa da quella di rigore scientifico, fiducia nella ragione, civismo, rispetto del lavoro. -1-

Non ne avrei neppure voglia, neanche minima.
A dir il vero avverto un' inesorabile scivolamento della voglia verso la dimenticanza, come chi si appropinqua a lasciare la condizione di veglia per dimenticarsi nel sonno.
Intendo: la voglia di pensare alle questioni interne politiche e civili del Paese in cui mi tocca vivere -anzi sopravvivere, mio malgrado, unitamente ad un gran numero di connazionali-.
Le cose usurate e decadenti mi danno grande tristezza, ed il mio temperamento è già, di suo, esasperatamente malinconico di fondo, com' è evidente -io credo- in più di un dettaglio, a cominciare dal fatto, piuttosto banale, d'aver titolato questo mio spazio "Galassia malinconica" e non già "Galassia entusiasticamente allegra".

La situazione politica italiana è quella che conosciamo bene, che ci piaccia o meno, ed è, appunto, cosa usurata e decadente, nonostante l' attuale classe dirigente si fosse presentata all' elettorato ignavo ed ignaro con promesse di Rinnovamento, Liberalismo/ Liberismo, Modernizzazione/Riforme e perfino Amore...
Pur non avendo affatto bisogno di deprimermi pensando alla nostra situazione nazionale oggi m'è tornata tra le mani una mia vecchia antologia di letteratura italiana, alle pagine del primo Novecento.
E mi sono imbattuta -combinazione- in qualche articolo ospitato dalla rivista "La Voce" fondata nel 1908 e diretta fino al 1914 da Giuseppe Prezzolini , poi divenuta la casa editrice di molte tra le più importanti opere della letteratura giovane novecentesca.

Il problema che allora si poneva e coinvolgeva le migliori energie intellettuali dell' epoca attraverso fervidi e fecondi dibattiti era il "Che fare?"   In un' Italia che sbandierava ridicoli ideali di grandezza, attraverso un inconcludente nazionalismo che di fatto eludeva i problemi di reale ostacolo al consolidamento della Nazione, gli intellettuali scrivevano e si confrontavano sulle questioni cruciali e pratiche che erano, ad esempio, il Mezzogiorno, il decentramento regionale, i rapporti tra Stato e Chiesa, "la riforma del nostro carattere e delle nostre relazioni sessuali" (!). Secondo Prezzolini una vera democrazia in Italia avrebbe potuto essere realizzata soltanto a patto che i "problemi tecnici" sopra citati fossero stati risolti.

"Tutto cade. Ogni ideale svanisce. I partiti non esistono più, ma soltanto gruppetti e clientele. Dal parlamento il triste stato si ripercuote nel paese. Ogni partito è scisso. Le grandi forze cedono di fronte ad uno spappolamento e disgregamento morale di tutti i centri d' unione. Oggi uno è a destra, domani lo ritrovi a sinistra ...

Lo schifo è enorme. I migliori non han più fiducia. I giovani, se non sono arrivisti e senza spina dorsale, non entrano più nei partiti...

E poi c' è l' altra difficoltà. Tutti la sentiamo. Io in modo particolare. 'Per fare' occorre metter mano in questo luridume generale, politico, letterario e morale. O starsene solitari: ma allora è purezza acquistata troppo facilmente; o vivere e agire in mezzo agli altri: e allora mettere a prova la purezza...

Ma si può fare molto. La cosa principale è acquistare le cognizioni tecniche per il rinnovamento dei congegni, degli organismi, delle tendenze alle quali siamo più vicini e nelle quali ci è più facile operare. Il municipio; la biblioteca comunale; le ferrovie; la scuola; le biblioteche pubbliche; i giornali; l' organismo finanziario; i paesi di lingua italiana soggetti ad altre nazioni;  i paesi dove si dirige l' emigrazione; gli uffici pubblici; il clero; le organizzazioni operaie; e via dicendo ...
Soltanto sapendo bene, con precisione, vedendo addentro e senza pregiudizi, un giovane può essere domani necessario. Quando questa massa di imbroglioni, di asini, di pusillanimi morali che ci sgoverna, avrà ridotto male l' Italia e i suoi organi bisognerà pure che l' Italia cerchi in sé stessa quel governo che non ha..."

(Giuseppe Prezzolini -Articolo apparso su "La Voce" 1910) 

Sono trascorsi cent' anni.

./..

domenica 19 dicembre 2010

Memoire d' hiver



"Agghiacciato tremar tra nevi algenti

al severo spirar d'orrido vento
correr battendo i piedi ogni momento
e per soverchio gel battere i denti

Passar al fuoco i dì quieti e contenti
mentre la pioggia fuor bagna ben cento
Camminar sopra il ghiaccio, e a passo lento
per timor di cader girsene intenti.


Gir forte, sdrucciolar, cader a terra,
di nuovo ir sopra 'l ghiaccio e correr forte
sin che il ghiaccio si rompe e si disserra;


sentir uscir dalle ferrate porte
Sirocco, Borea e tutti i venti in guerra;
questo è 'l verno, ma tal che gioia apporte"

Musica in sé descrittiva, che non ha quasi più bisogno di parole, evocativa di un mondo antico,  ingoiato dall' epoca industriale: quant' è privo di emozione, ritmo e memoria l' inverno cittadino...

... a meno che quella città non sia, pure essa, malinconica e morente, fatta di pietre levigate da acqua e disinfettate dal sale, avvolta da nebbia evanescente, evocativa di sogni.
Il sogno: rifugio, salvezza, casa. Spesso pietosa menzogna.
Come vorrei ricordare come si fa...

Daniel Lifschitz
***
Eppure, allora, sono  stata parte di quella scena, attrice in quell' atto di vita, vittima di una cosmica cospirazione, o incidentale irrilevante dettaglio in un teorema casuale di coincidenze.
Io... non me ne capacito... : è così che la vita ci fa.

Il freddo era feroce -oggi ne morirei-, ed era buio.
(Diffidare dai percorsi indicati: la città è nascosta tra i vicoli ciechi e le calli scure. Piccolo labirintico rompicapo: una di quelle cose che prima di diventare facili erano impossibili.)
Il lattiginoso disco lunare mancava di una fetta: luna crescente, storpiata dal suo mancante lato oscuro, e, purtuttavia, nella sua consistenza anche occultata, luna intera, tutta-luna.
Mistero di prospettiva.
Come quello di questa storia, in cui ogni attore crea via via la sua sola parte, seppur improvvisata, e non può pensare, né immaginare, alcun epilogo.
Il senegalese clandestino offre i suoi elefantini di mogano, intagliati nella giungla (così mendacemente afferma).
Egli ne acquista uno per farne omaggio a lei e creare un buon auspicio.
Ciononostante, ognuno persevera nel sogno -monade testarda a tu per tu con il suo personalissimo dio-, mentendo irrimediabilmente a sé stesso, perché è del sogno d' amore -e non di verità- di cui ha disperata nostalgia.
Un sogno altamente improbabile, da cui prendere al più presto le distanze, e dimenticare quanto prima.
Invece, nulla va perduto, neppure i sogni sbagliati, neppure i sogni falliti.
Ognuno di loro, soprattutto quelli che preferiremmo disconoscere e di cui proviamo vergogna, aveva una precisa funzione per la coscienza, anche se meglio sarebbe non interpretarli.
Ecco che trascorre il Natale su percorsi paralleli e scivolosi, recitando già stancamente le ultime battute, mentre le parole sbiadiscono di significato ed ogni velo, finalmente, cade.


Sollievo, il ripristino della verità, a patto d' aver il fegato di sopportarne la vista.

***


Ognuno desidera che l' altro l' ami, ma finge di non sapere -o non si rende conto- che questo suo desiderio, nel profondo della sua psiche, è soprattutto speranza che l' altro desideri che l' ami.

"Nella coppia d' amanti ciascuno vuole essere l' oggetto per il quale la libertà dell' altro si aliena in un' intuizione originaria; ma questa intuizione che sarebbe l' amore vero e proprio, non è che un ideale contraddittorio del per-sé; così ciascuno è alienato solo in quanto esige l' alienazione dell' altro." (*)

Il fatto è che l' amore è un' "impresa", vale a dire una proiezione di sé stessi, che presuppone che l' amante seduca l' amato, il quale -sulle prime- non può voler amare. Nella seduzione l' amante non deve affatto mostrare all' altro la propria soggettività, ma deve, piuttosto, rendersi oggetto affascinante, operazione che implica il risveglio, nell' altro, della sua coscienza di nullità di fronte all' oggetto seducente.
E, tuttavia, il fascino può non bastare ad indurre la nascita dell' amore. Molti elementi potrebbero risultare affascinanti, anche enormemente: l' opera di un pittore, il discorso di un oratore, l' abilità di un artigiano, la musica di un compositore..., ma non sarà mai una forma di ammirazione che automaticamente faccia scaturire l' amore. Perché l' amore nasca bisogna che l' "amato progetti di essere amato": deve, cioè volerlo. In altre parole, egli deve desiderare di alienarsi e fuggire verso l' altro.

L' amore contiene in sé una triplice distruttività: esso è, innanzitutto, un inganno procrastinato all' infinito perché esige, per essenza, che l' amante desideri d' essere amato e l' altro a sua volta desideri che egli lo ami; in secondo luogo non può evitare che l' amato si "risvegli" improvvisamente oggettivizzando l' amante - cosa che rende l' amante continuamente insicuro-; in terzo luogo esso (amore) è un assoluto perennemente relativizzato dagli altri (ed il solo modo perché mantenga il suo valore di asse assoluto comporterebbe che amante ed amato fossero soli al mondo).

Così finisce, per poi ricominciare, ogni rêve d' amour.


(*) Sartre




martedì 14 dicembre 2010

Madre

Supplica a mia madre

E' difficile dire con parole di figlio 
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, 
ciò che è stato sempre, prima di ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch' è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata 
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio essere solo. Ho un' infinita fame 
d' amore, dell' amore di corpi senza anima.
Perché l' anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l' infanzia schiavo di questo senso 
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l' unico modo per sentire la vita, 
l' unica tinta, l' unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione 
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. 
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile.
(P.P.Pasolini )

***


Sette mesi di vita pre-natale: auguri tatino, se sarai maschio ti chiamerai S., anche se poi - io temo-, il tuo nome completo risulterà un pochino cacofonico.
Spero che tu non me ne vorrai ed, anzi, ti consolerai considerando altre cacofonie celebri..., che so... Galileo Galilei, per esempio, giusto per esagerare...

Quante storie per una gravidanza...Insomma, si tratta della solita manfrina, un evento biologicamete naturale e perfino dovuto: a questo serve la donna. Arriva presto, e che finisca quest' attesa perché, per quanto tempo io potessi avere ancora davanti, non potrei dirmi mai realmente pronta.

Mio padre ancora non sa: ho pudore ad informarlo. Da quando sono uscita dall' infanzia, in cui ha dimostrato d' essere il più tenero dei padri, l' ho scoperto vagamente misogino. Detesta il mio esser donna. Così mi sento sbagliata, in modo irrimediabile. Perché mi fa questo.

Mamma dimessa, perennemente tirata, triste. Non riescono ad infrangere le barriere che dividono le loro anime...; perché è tanto difficile amare? Mamma piange, al telefono. Mi dice "Mi manchi tanto". Santocielo, non so come aiutarti, non so che fare.
Finitela di attendere qualcosa da me: io non posso nulla, non sono dio.

Il quaderno appoggiato sulla pancia, le ginocchia piegate a fungere da leggio: tu scalci forte e fai saltare tutto in aria. Ti canto una canzone:


"You who are on the road/Must have a code that you can live by/And so become yourself/Because the past is just a good-bye./Teach your children well,/Their father's hell did slowly go by,/And feed them on your dreams/The one they picks, the one you'll know by./Don't you ever ask them why, if they told you, you will cry,/So just look at them and sigh/and know they love you./...."

Hai cancellato la mia memoria, la mia storia è già nebulosa e vaga, ma era solo ieri; mi chiedo che cosa io sia tenuta a diventare ora, ho paura. Dare la vita è responsabilità tremenda, e poi non so come si faccia, nessuno collabora, nessuno m' insegna.
Non ho fatto che improvvisare, nell' esistenza. L' esistenza  è beffarda, ed ama i vincenti.
Non me, allora.

Primo giorno ufficiale da mamma in attesa, astensione obbligatoria, praticamente casalinga. In Ufficio le ragazze non han fatto che ripetere ai clienti: "No, non c'è e rimarrà per un po' assente, sa, la maternità..."

Certo, dietro a questa grossa pancia, sono sempre, senz' ombra di dubbio, io. Il tatino non ha cancellato proprio niente, povero caro. Stessa persona di prima: esigente, passionale, curiosa, senza il minimo cenno di stanchezza. Imbianco le pareti di casa dei miei, prossimi al trasferimento, inerpicandomi sulla scala. Dandy, il mio cocker spaniel, non fa che zomparmi addosso.
Scemo d' un cane, non hai mai obbedito ad un solo ordine. 
Che passato storto: niente di normalmente regolare. Come mai. 

Mi hanno detto di averti visto in posizione podalica ed in iposviluppo: terrore.

Altra ecografia: il bambino è perfetto. Podalico, ma perfetto. Gaglioffi, incompetenti, inaffidabili: ma nelle mani di chi lo devo far nascere questo piccolo uomo? Terrore.

Oh, mamma. La tua dolcezza, quel dispendio di te stessa, incondizionatamente, senza risparmio, ti rendono la persona più patetica che abbia mai avuto modo di conoscere nella mia esistenza. Perché sei così infelice. Questa mia anima sanguina. Così mi uccidi. 

Sei nato alle 5.17. Finita l' attesa, comincia l' inizio. Non è stato bello, non finiva mai, ed ero sola. Ho due compagne di stanza sgradevolmente volgari. Il dottor F. desidera leggere ciò che mi vedeva scrivere sul quaderno di pergamena. "Vorrei conoscere" - dice- "i risvolti emotivi della sua esperienza". Mah! Mi ricorda la  psicanalista con poncho ex-sessantottina, ex- fricchettona di cui racconta Foster: difficile credere che ad uno sconosciuto possano interessare davvero i miei "risvolti emotivi"; ma a che gioco gioca? Non gli dirò un bel nulla.
.
Lo guardo.
Il suo viso pare dipinto su ceramica, sembra un angelo. Anelo alla perfezione della sua esistenza e la invidio: un bimbo che dorme può rappresentare simbolicamente la felicità. La felicità assoluta è quel sonno che non conosce ancora il bisogno dei sogni.

Tremo al pensiero di quali e quante infamie gli riserverà la vita e di quanti danni potrei forse procurargli io stessa nel tentativo di proteggerlo. Nel frattempo accantonerò me stessa. D' altronde, già m' era stato annunciato: "Preparati a scomparire. E' lui la primadonna, adesso."

Giro per la mia casa, a volte inutilmente, come seguissi percorsi misteriosi. Qualcosa s' é rotto, dentro. I ritmi del sonno sono sconvolti, non mi fa più dormire ed io ne ho un bisogno infinito. Non so mettere a fuoco il nucleo del malessere. E' uno strano disagio con me stessa, un' indecifrabile sottile disperazione: provo un senso di colpa strisciante per quest' incongruente infelicità. Non mi fido di nessuno, neppure di chi mi professa amore. Non si può amare una cosa tanto laida. Non sono degna di un amore sconfinato che non tema nulla, mi sento una povera cosa, mi detesto.

Chi afferma che la famiglia è una dolce culla di garanzie, sostegno, sicurezza e tiepidi affetti non ha conosciuto la mia originaria.
Accuserò anche di questo, me stessa?

Provo a riprendere le redini di questa auriga impazzita: la depressione, il "male oscuro", non mi avranno.
Ma poi mi hanno.
E' il vivere, che guasta. La vita, è malata e fa ammalare. Si approda così alla fede, per questo si cerca Dio? 
Santocielo, non so più niente.

lunedì 13 dicembre 2010

L' odore (della malafede)

Avremmo  avuto bisogno delle 4000 sfaccettature degli occhi composti della mosca adulta, per evitare tutti gli eventuali errori della nostra vita.
Sono ormai certa che senza tutte quelle frazioni di prospettiva visiva non si possa assolutamente affermare di vedere davvero e completamente né le persone con le quali  si intrattiene un  rapporto -generico od anche personale ed intimo-, né, tantomeno, interpretare un fenomeno.

Di conseguenza, la maggioranza degli umani è praticamente insuperabile nell' arte del camaleontismo, dell' adattamento, del revisionismo, che potrebbe essere buono, cattivo, o semplicemente necessario alla sopravvivenza.
Ciò ci rende assolutamente inaffidabili, anche nel senso che non sempre la malafede è menzogna, ma, molto spesso, è fede, soprattutto quando l' adesione del nostro essere ad un determinato oggetto presuppone una forma di credenza -laddove per credenza si intenda la nostra intuizione dello stesso, da esercitarsi in mancanza di una evidenza certa, come potrebbe darsi nel caso di un sentimento od altra cosa non tangibile-.

"La decisione di essere in malafede non osa dichiararsi, si crede e non si crede in malafede, si crede e non si crede in buonafede. Ed è essa che, dal momento della nascita della malafede decide di tutta la condotta ulteriore e, per così dire, della Weltanschauung della malafede. Perché la malafede non conserva le norme e i criteri di verità, che sono accettaqti dal pensiero critico in buonafede. Infatti essa decide anzitutto della natura della verità. Con la malafede appare una verità, un metodo di pensare, un tipo di essere degli oggetti; e questo mondo di malafede, da cui il soggetto si trova circondato, ha per caratteristica ontologica che l' essere in esso è ciò che non è e non è ciò che è. Conseguentemente appare un tipo di evidenza singolare, l' evidenza 'non persuasiva'.
...
Così la malafede fin dal suo piano originario, dal suo sorgere, decide dell' esatta natura delle sue esigenze, si delinea intera nella risoluzione che prende di 'non chiedere troppo', di considerarsi soddisfatta quando sarà poco persuasa, di forzare con decisione la propria adesione alla verità incerta.
...
Ci si mette in malafede come quando ci si addormenta, e si è in malafede come si sogna."
(Jean Paul Sartre - L' Essere e il Nulla)

Questa sorte potrebbe estendersi all' intera nostra esistenza e potrebbe essere molto difficile uscire dal sogno.
Potremmo, un giorno, svegliarci dopo una notte di intenso lavorìo onirico subcosciente, ed intuirci diversi.

Com' è successo a Mister G.




domenica 12 dicembre 2010

Relativamente...ovvero: "Psicopatologia di una piuma al vento"


La realtà – ogni adulto lo sa- è un puzzle di episodi relativi, impossibile da fissare come un tutto integrale passibile di visione assoluta.

Questo, a voler esser onesti, è un bel pungolo, per l' umano che si arrovelli nel tentativo di far ordine nei suoi stessi pensieri e provi a dar loro uno straccio di coerenza.
Di solito, ciò che più gli conviene dopo tanto scervellamento, è una liberatoria risata, o, quanto meno -ove si tratti di individuo molto compresso e compunto, di carattere un po' pedante-, un cenno di sorriso.

Anche ciò che si vive con lo speranza di una sua confortante durevolezza ora, ha la stessa caratteristica di relativa variabilità: grazie al cielo -se non altro per chi se la passa male- ogni cosa, potenzialmente, cambia, e, soprattutto, si presta a molte interpretazioni ed a molti sviluppi: non esiste una sola versione della nostra stessa vita, e neppure esiste una sola possibile sua  interpretazione. Una delle cose, in assoluto, più relative, sono i VALORI delle diverse epoche storiche e chi crede d' avere, invece, sicurezze al riguardo, dovrebbe leggere storielle come la seguente, tratta dall' esilarante "Platone e l' ornitorinco" di T. Cathcart e D. Klein.

"C' era una volta un uomo ricco prossimo alla morte. E' molto addolorato perché per i suoi soldi ha lavorato duramente e ne vuole portare un po' con sé in Cielo. Così comincia a pregare per poter portare con sé una parte delle sue ricchezze. Un angelo ode la sua supplica e gli appare. "Mi spiace, non puoi portare con te le tue ricchezze. " L' uomo implora l' angelo di parlare con Dio per vedere se l' Onnipotente può cambiare le regole. L' angelo gli appare di nuovo e gli annuncia che Dio ha deciso di fare un' eccezione per lui e che potrà portare con sé una valigia. Colmo di gioia, l' uomo prende la valigia più grande che ha, la riempie di lingotti d' oro puro, e la mette accanto al letto. Subito dopo la sua morte, compare alle porte del Paradiso. San Pietro, vedendo la valigia, dice: "Aspetta. Non puoi portare qui dentro quella roba." Ma l' uomo spiega a San Pietro che ha il permesso di farlo. Chieda conferma al Padreterno. San Pietro va ad informarsi e ritorna da lui dicendo: "Hai ragione. Hai il permesso di portare dentro un bagaglio, ma io devo controllare il contenuto della valigia prima di farti passare." San Pietro apre la valigia per vedere quali articoli di questo mondo l' uomo ha ritenuto troppo preziosi per poterli abbandonare ed esclama: "Hai portato delle piastrelle?"

mercoledì 8 dicembre 2010

Simone Weil -4-: la pensatrice più affascinante del Novecento. Santa laica e rivoluzionaria. Una politica “poetica”. "La prima radice"

(segue dal post -1- pubblicato in data 3/12/2010 , -2- pubblicato in data 6/12/2010 , -3- pubblicato in data 7/12/2010, con le stesse etichette. Tra parentesi quadre, mie brevissime riflessioni estemporanee. Virgolettate le citazioni integrali del testo.)





Con il presente, chiuderò l’ elenco dei preannunciati bisogni vitali dell’ anima umana, che si completano con il più sacro, in assoluto: LA VERITA’.


Ecco la prosecuzione:

10* La sicurezza

E’ un bisogno vitale dell’ anima.

La paura, o, peggio, il terrore persistenti pongono l’ anima sotto un peso schiacciante. Essi sono veleni letali e possono essere indotti da molte e varie circostanze. Non temiamo soltanto l’ eventuale violenza dei malviventi, la repressione politica nei periodi più bui della dittatura, le malattie incurabili, ma anche –e forse in maggior misura, nonché oggi più che mai-, la probabilità di perdere il nostro lavoro, di non trovarlo mai, di non avere alcuna garanzia sociale e civile. Nell’ età moderna paventiamo anche la solitudine, fisica e morale, l’ isolamento intellettuale, il rifiuto della collettività.

L’ anima soffre pesantemente quando le sventure si abbattono su di noi dandoci l’ esatta misura della limitatezza delle nostre umane forze.

La paura, anche se latente, pone l’ essere umano in condizione di grave debolezza.

I patrizi romani, consapevoli di questo, tenevano una frusta appesa all’ atrio delle loro case, perché gli schiavi l’ avessero sempre sotto gli occhi, sapendo che ciò corrispondeva ad incutere nei secondi uno stato di semi-morte dell’ anima.

Dopo la morte, secondo gli egizi, il giusto doveva poter dire: “Non ho fatto paura a nessuno”.

11*  Il rischio

Altro bisogno essenziale dell’ anima.

Simone Weil sosteneva che il rischio fosse necessario nelle azioni umane proprio per evitare una forma di “noia” capace di paralizzare l’ anima.

“Il rischio è un pericolo che provoca una reazione rflessa; cioè non sorpassa le risorse dell’ anima al punto di schiacciarla sotto il peso della paura. In certi casi contiene una parte di gioco; in altri, quando un obbligo preciso spinga l’ uomo ad affrontarlo, è lo stimolo più alto che esista.”

12*  La proprietà privata

L’ essere umano è naturalmente portato ad appropriarsi mentalmente, ed a prescindere dai diritti legali che gravano sulle cose, di ciò che egli ha usato in modo continuativo e per lungo tempo per ragioni di lavoro, ma anche per altre necessità della vita e perfino per piacere. Se il giardiniere cura, organizza e lavora per anni un giardino che non gli appartiene, dentro di sé lo sentirà ugualmente un po’ suo.

Questo implica che anche la proprietà privata rientri tra i bisogni essenziali dell’ anima.


E’, comunque ed in generale, un naturale riflesso umano, osservabile in una grande quantità di occasioni. Ogni qualvolta si impegnano, in svariate fogge, le nostre personali energie –vuoi sul lavoro, vuoi su un impegno meramente ideale e morale, vuoi su una qualsiasi altra attività, anche ricreativa, o creativa senza fini di lucro-, il meccanismo dell’ “appropriazione”, a livello mentale, scatta. “E’ opera mia”, “C’è il mio personale apporto”, sono automatismi di cui non siamo perfettamente consci, ma inequivocabilmente sempre presenti.
[L’ uomo è un animale EGOISTA, nel senso più lato del termine.]

A questo punto e dopo le suesposte premesse, la Weil addiviene alla conclusione che, essendo questo un bisogno vitale dell’ anima, ed essendo l’ Uomo portatore di destino eterno, deve essere per tutti.

Qui la filosofa mi commuove.

Commuove [ed è un effetto quantomeno strano e singolare, dato che parliamo di una pensatrice rigorosa, che, in quanto tale, usa innanzitutto gli strumenti razionali dell’ intelletto per avvalorare e sostenere le proprie tesi] perché dipinge i contorni di un sogno, nella sua ingenuità perfetto. Ecco la sua Utopia, la sua generosa e nobile Utopia.

Scrive, infatti: “ Le modalità di questo bisogno variano molto secondo le circostanze; ma è auspicabile che la maggior parte degli uomini sia proprietaria dell’ alloggio e di un po’ di terra e, quando non vi sia un’ impossibilità tecnica, degli strumenti di lavoro…”

13*  La proprietà collettiva.

Altrettanto importante, nell’ anima umana, è il desiderio di partecipazione ai beni collettivi.

[Noi dovremmo sentire “nostri” i monumenti, i giardini, gli Uffici, il Parlamento, le coste, i mari, le spiagge, le montagne , le strade, la flora e la fauna, e qualsiasi altra cosa pubblica che attenga al Paese cui apparteniamo.]

La grande fabbrica moderna costituisce, invece, per la Weil, uno “spreco”, dal punto di vista della proprietà. Soltanto da una prospettiva non sufficientemente meditata , simile affermazione può apparire contraddittoria.

“Non esiste nessun legame naturale tra la proprietà ed il denaro: il legame oggi stabilito è solo il risultato di un sistema che ha concentrato sul danaro la forza di ogni possibile movente. Questo legame è dannoso; occorre operare la dissociazione inversa. Il criterio vero, per la proprietà, è che essa sia tanto legittima quanto reale.”

“Ogni specie di possesso che non dia a nessuno la soddisfazione dei bisogno di proprietà privata o collettiva può, a buon diritto, considerarsi nulla.”

Simone Weil non pensava affatto [e spero non sfugga questo particolare] che ogni proprietà collettiva dovesse risalire allo Stato, ed in ciò si differenzia nella sostanza dalla teoria normalmente affiliata al comunismo. Ella, semmai, senza incorrere in sterili ideologismi, affermava che occorre tentare di farla diventare “vera” proprietà, cioè far sì che soddisfi pienamente il bisogno di ogni cittadino di riconoscere ciò che ha natura e funzione pubblici come legittimamente suoi.

[Io credo che, se così fosse, nessuno permetterebbe –per citare qualche esempio- di operare scempi di qualsiasi genere sul territorio nazionale, di accatastare spazzatura nella propria città, di dover pagare per usufruire del bene comune delle spiagge e dei lidi, e via così, in un elenco pressoché infinito.]

14*  La Verità.

Nei precedenti post è stato citato il bisogno della libertà d’ opinione: quello della verità, che è assolutamente sacro per l’ anima, lo integra e completa.

La Weil ricorda uomini che lavorano otto ore al giorno e che, la sera, si sobbarcano l’ enorme sforzo di cercare di istruirsi attraverso la lettura. Ciò che leggono deve corrispondere al vero –dice-; non possono essere nutrirli di menzogne. Sorge in questa riflessione lo scrupolo di coscienza dell’ intellettuale onesto che non desidera approfittare della propria influenza o della propria cultura per seminare il falso o il tendenzioso.

“… è vergognoso tollerare l’ esistenza di giornali dove un redattore non può lavorare se non consente talvolta ad alterare scientemente la verità, …”

“… quando il giornalismo si confonde con l’ organizzazione della menzogna è un delitto. Ma si crede che sia un delitto destinato a sfuggire alla punizione. Che cosa mai ci può impedire di punire un’ attività quando essa sia stata riconosciuta come delitto? Da che cosa deriva questa strana concezione di delitti non punibili? Questa è una delle più mostruose deformazioni dello spirito giuridico.”

La filosofa auspicava l’ istituzione di tribunali speciali, grandemente rispettati, ed il divieto assoluto di qualsiasi propaganda di qualsiasi genere per mezzo della stampa e della radio, che avrebbero continuato a servire esclusivamente all’ informazione non tendenziosa.

“Ma, ci si chiederà, chi garantisce l’ imparzialità dei giudici [a tal fine preposti]? L’ unica garanzia, oltre alla loro indipendenza totale, è che essi provengano da ambienti sociali molto diversi fra loro, che per natura siano dotati di un’ intelligenza ampia, chiara e precisa, e che siano formati in una scuola nella quale abbiano ricevuto un’ educazione non tanto giuridica quando spirituale e solo in secondo luogo intellettuale. E’ necessario che in quella scuola essi si abituino ad amare la verità. Non è possibile soddisfare l’ esigenza di verità di un popolo se a tal fine non si riesce a trovare uomini che amino la verità.”

[Pensiamo ai nostri telegiornali, pensiamo ai nostri quotidiani: Simone Weil descrive e sogna un miraggio.
Personalmente, invece, io pongo in discussione l’ incipit stesso del suo ragionamento: non sono certa che la verità sia ancora un bisogno. Non so come, ma temo che oggi l’ Uomo l’ abbia eliminato dal DNA dei suoi bisogni essenziali. Non vedo, non conosco, non incontro più individui che avvertano con improrogabile e dolorosa passione la necessità di cercare il vero, e di pretenderlo. Ad esso si è sostituito un generale velo di accomodanti compromessi, che ci depauperano, senza che ci sia dato d’ avvedercene con sufficiente chiarezza, del nostro più intimo ed inappellabile diritto alla libertà.]

martedì 7 dicembre 2010

Simone Weil -3-: la pensatrice più affascinante del Novecento. Santa laica e rivoluzionaria. Una politica “poetica”. "La prima radice"

(segue dal post -1- pubblicato in data 3/12/2010 e -2- pubblicato in data 6/12/2010 con le stesse etichette. Tra parentesi quadre, mie brevissime riflessioni estemporanee. Virgolettate le citazioni integrali del testo.)


La lista dei bisogni essenziali dell’ anima prosegue, ed ognuno è logicamente connesso all’ altro. Ecco, perciò, che dopo l’ Onore - citato al punto 7*e la cui descrizione termina considerando che soltanto il delitto può situare fuori della considerazione sociale chi lo ha commesso- ,segue, come bisogno di reintegrazione,


8* la Punizione.

La Weil opera una distinzione tra la punizione disciplinare e quella penale, e sottolinea che quella indispensabile all’ anima umana è la punizione del delitto, perché, compiendo quest’ ultimo, l’ uomo si pone al di fuori della rete degli “obblighi eterni” che rendono coesi gli esseri umani.

A chi soffre la fame bisogna dare da mangiare ed, allo stesso modo, a chi si pone da sé fuori dalla Legge è necessaria la punizione che, sola, può reintegrarlo nella collettività.

[Osserviamo in questi tempi l’ odioso e vergognoso tentativo di esponenti della nostra classe dirigente (fatto di amplificata gravità, riguardando figure istituzionali tenute a fornire esempi ineccepibili) di eludere questo elementare meccanismo attraverso picaresche manovre sulla Giustizia: legittimo impedimento e processo-breve sono escamotage per evitare eventualmente le meritate punizioni]

“ La soddisfazione di questo bisogno esige innanzitutto che quanto riguarda il diritto penale abbia un carattere solenne e sacro; che la maestà della legge si comunichi al tribunale, alla polizia, all’ accusato, al condannato, e che questo avvenga persino nei casi poco importanti, purché comportino privazione di libertà. Occorre che la punizione sia un onore, che non solo cancelli la vergogna del delitto, ma venga considerata un’ educazione supplementare a essere maggiormente devoti al pubblico bene.”

Simone è aspra e durissima nel suo pensiero; non concede alcuno sconto né attenuante perché è fermamente convinta che il sistema penale deve destare in chi delinque il sentimento della giustizia. Neppure vagamente si pensi alla punizione come sedativa dell' ansia di vendetta della società. Conosce perfettamente anche il pericolo che si stabilisca, nelle alte sfere, una cospirazione volta ad ottenere impunità. Per questo, dichiara: “Può essere risolto soltanto se uno o più uomini hanno l’ incarico di impedire tale cospirazione e si trovano in una condizione tale da non essere tentati di farlo.”

9* La libertà di opinione.

Per Simone Weil esso corrisponde ad un bisogno assoluto per l’ intelligenza e, conseguentemente, dell’anima, la quale prova sofferenza quando l’ espressione dell’ intelligenza viene ostacolata.

In un’ anima sana l’ intelligenza si esercita in tre diversi modi, di volta in volta caratterizzati da gradi di libertà diversa. Esiste un’ intelligenza applicabile a problemi tecnici, che cerca mezzi per il perseguimento di uno scopo prefissato; una che fornisce chiarimenti di volontà nel compimento di scelte; ed una puramente teorica e non indirizzata a materia pratica.

Applicando la sua teoria filosofica dell’ intelligenza ad una società utopizzata sana, S.W. auspica, nel campo della stampa, una riserva di libertà assoluta, ma condotta in modo tale che ciò che si pubblica non coinvolga per nessuna ragione l’ autore e non contenga alcun consiglio per chi legge.

Voglio porre nuovamente l’ accento sul momento storico in cui la filosofa operava: siamo a cavallo di due conflitti mondiali. Le pubblicazioni destinate ad influire sull’ opinione pubblica, costituiscono veri e propri atti ed, in quanto tali, devono essere sottoposti allo stesso giudizio, ed eventuali restrizioni, cui tutti gli altri atti vengono sottoposti.

“In altre parole, esse non devono recare alcun danno illegittimo a qualsiasi essere umano, e soprattutto non devono contenere alcuna negazione, esplicita od implicita, degli obblighi eterni verso l’ essere umano, dal momento che questi obblighi sono stati solennemente riconosciuti dalla legge.”

In estrema sintesi, e per necessità di semplificazione del sottilissimo pensiero weiliano, possiamo affermare che Simone distingue nettamente la libertà di opinione del singolo autore, che dev’ essere illimitata, da quella del gruppo (stampa quotidiana, settimanali, riviste), in quanto necessariamente centri di irradiazione di determinati punti di pensare.

Si spinge ad estendere questo suo assunto fino alla letteratura. “Nella vita morale del paese il posto che un tempo era occupato dai preti apparteneva a fisici e romanzieri, fatto, questo, sufficiente a mostrare il valore del nostro progresso. Ma se gli scrittori dovessero render conto dell’ orientamento della loro influenza, essi si rifuggerebbero indignati dietro il sacro privilegio dell’ arte per l’ arte.”

Il bisogno stesso di libertà, essenziale per l’ intelligenza, esige una protezione contro la propaganda, l’ ossessionante influenza, la suggestione.
[... la televisione, poi...]

“Tutti i problemi concernenti la libertà d’ espressione si chiariscono, in genere, quando si sia stabilito che quella libertà è un bisogno dell’ intelligenza e che l’ intelligenza risiede soltanto nell’ essere umano, individualmente considerato. L’ intelligenza non può essere esercitata collettivamente.”

Simone Weil, nella sua fiera ed audace lucidità, si spinge ad affermare che proprio la libertà di pensiero esigerebbe di dover vietare l’ espressione di opinioni da parte di un gruppo, perché un gruppo tende inevitabilmente ad imporle ai suoi membri, che, presto o tardi e più o meno gravemente, si troveranno impediti nell’ espressione di idee opposte o diverse.
“ L’ intelligenza è vinta quando l’ espressione dei pensieri è preceduta, implicitamente od esplicitamente, dalla paroletta noi” .

Come immediata soluzione pratica ella proponeva l’ abolizione dei partiti politici.
[Utopia eccelsa. Immaginiamo quale enorme rientro di risorse per la collettività? Una vita pubblica senza i partiti! Un sollievo, aria pulita e fresca. Non più la putredine di interessi e fame di potere cui oggi assistiamo…]

Sulle reminescenze del Contratto Sociale di Rousseau, in cui egli aveva chiaramente dimostrato che la lotta tra i partiti uccide la democrazia, S.W. osserva che una democrazia che veda ridotta la vita pubblica alla lotta tra i partiti politici [ma nel nostro Paese ci siamo quasi…] non potrebbe impedire neppure l’ avvento di un partito in grado di distruggerla.

In conseguenza di queste riflessioni la filosofa prospetta la distinzione tra due specie di raggruppamenti:

1. quelli di interessi , che dovrebbero essere organizzati e disciplinati (esempio organizzazioni operaie che si occupano dei salari e simili);

2. quelli di idee, che, invece, non dovrebbero esserci.

Interessantissime tutte le riflessioni, ampiamente articolate, che la Weil fa sui sindacati e sulle loro possibilità di espressione ed azione. Per esse, rimando alla lettura analitica ed integrale del testo, per ovvie ragioni di spazio.

“Quanto alla libertà di pensiero, si dice in genere il vero quando si afferma che senza di essa non vi è pensiero. Ma è ancor più vero dire che quando il pensiero non esiste non è libero. Nel corso degli ultimi anni c’ è stata molta libertà di pensiero, ma non c’ era pensiero. E’ pressappoco la situazione del bambino che, non avendo carne nel piatto, chiede il sale per salarla.”

[Esiste un ragionamento più attuale di questo, per noi cittadini ed individui occidentali del nuovo millennio?]

./..

lunedì 6 dicembre 2010

Simone Weil -2-: la pensatrice più affascinante del Novecento. Santa laica e rivoluzionaria. Una politica “poetica”. "La prima radice"

(segue dal post -1- pubblicato in data 3/12/2010 con le stesse etichette. Tra parentesi quadre, mie brevissime riflessioni estemporanee. Virgolettate le citazioni integrali del testo.)


Così Simone Weil tenta di motivare i primi 7  bisogni umani, gli obblighi ed i diritti che da essi derivano:


1* L’ Ordine

L’ Ordine è il primo bisogno dell’ anima, il più vicino al suo destino “eterno” e presuppone un tessuto di relazioni tali per cui nessuno debba essere costretto a violare obblighi rigorosi per adempierne altri.

Nell’ Universo un’ infinità di azioni meccaniche indipendenti contribuiscono a creare un ordine che, nel suo complesso, deve rimanere fisso. Nelle grandi opere d’ arte l’ insieme di fattori indipendenti, luce, colore, forma, concorrono alla formazione di un’ unica bellezza. Ciò che muove le azioni dell’ Uomo deve ordinarsi necessariamente per sedare un unico desiderio, uguale dalla culla alla tomba, che è bisogno del bene.

Per poterlo appagare, è necessario conoscere perfettamente anche gli altri. Il vero bisogno non è deviazione o vizio: l’ avaro brama continue ricchezze, ma  un uomo giusto a cui venga dato pane a volontà prima o poi sarà sazio.
Così per l’ Anima.

[ Simone Weil crea, in questo modo,  un' autentica gerarchia dei desideri. Affinché le sue proposte possano trovare un senso logico bisogna necessariamente accettare l' assunto che l' uomo "giusto" avverta come assolutamente imprescindibile il bisogno del Bene.]



2* La Libertà

E’ un nutrimento indispensabile e consiste nella possibilità reale di operare scelte.

Non è assolutamente un concetto semplice da misurare. Ha bisogno di regole facili, stabili e ragionevoli, comprensibili a qualsiasi cittadino dotato di media attenzione, e dette regole devono provenire da autorità che non siano considerate straniere o nemiche, ma sentite appartenenti alla propria comunità.
Devono essere poche e sufficientemente generali.

Le persone infantili o prive di volontà positiva non troveranno mai la libertà in nessuno Stato.
Le necessarie auto-limitazioni all’ agire del singolo che ha approvato ed incorporato in sé le regole non sono più “divieti” e non hanno bisogno, pertanto, di venire respinte.

“Allo stesso modo l’ abitudine, inculcata dall’ educazione, di non mangiare cose repellenti o pericolose, non è avvertita da un uomo normale come un limite ala sua libertà di alimentazione. Solo il bambino l’ avverte come limite.”

[Neppure questo bisogno è soddisfatto, ai giorni nostri, perché la possibilità reale di scelta è negata, pur nell’ esistenza -almeno teorica-  di regole comuni. Il disoccupato, ad esempio, non può in nessun caso scegliere nulla: il suo obbligo/diritto al lavoro gli è precluso a monte.]


3* L’Ubbidienza


L’ Ubbidienza è un bisogno vitale dell’ essere umano e può avere come riferimento regole prestabilite, Leggi, od altri esseri umani riconosciuti come capi. Assolutamente necessario, in ogni caso, è il consenso, che deve essere spontaneamente riconosciuto dalla collettività.

Chiunque sia privo dell’ attitudine all’ ubbidienza [è NECESSARIO comprendere che tale concetto è totalmente esule da quello di “servilismo”] è, in un certo senso, psicologicamente malato. Ogni collettività retta da un capo sovrano [non necessariamente una persona fisica, ma anche un’ Istituzione] che non debba rendere conto a nessuno, cade fra le mani di un malato.

[Chissà se le recenti pretese dei nostri dirigenti politici di non sottostare ad alcun altro Organo istituzionale e tacciare la Magistratura - per esempio- di  costituire un covo di cospiratori bolscevichi,  dice qualcosa, alla luce di quanto appena scritto].

“Quelli che sottomettono masse umane con la costrizione e la crudeltà le privano simultaneamente di due vitali nutrimenti: la libertà e l’ ubbidienza perché queste masse non sono più in grado di accordare il loro consenso interiore all’ autorità che subiscono. Quelli che favoriscono uno stato di cose dove l’ esca del guadagno sia il movente principale tolgono agli uomini l’ ubbidienza, perché il consenso, che ne è il principio, non è cosa che si possa vendere.”



4* La Responsabilità

Iniziativa e responsabilità sono necessari e forse pure indispensabili bisogni dell’ anima umana.

Per soddisfarli bisogna che un essere umano sia messo nelle condizioni di prendere spesso delle decisioni su questioni i cui interessi non lo riguardino personalmente, ma siano da lui avvertiti come impegni importanti.

Il disoccupato subisce la privazione di tutto questo, anche nel caso in cui riceva qualche aiuto economico dal sistema, ed il manovale non si trova in una condizione troppo migliore.

E’ necessario essere investiti da responsabilità, in modo continuativo, ed essere coinvolti nella conoscenza dell’ interità dell’ opera della collettività cui si appartiene, compresi quei settori in cui materialmente non si agisce, sapere con chiarezza il valore dell’ apporto che si dà.

“Ogni collettività, di qualsiasi specie essa sia, che non soddisfi queste esigenze dei suoi membri è guasta e dev’ essere trasformata.”



5* L’ Uguaglianza

Equivale al pubblico riconoscimento -riconoscimento anche generale ed effettivo- da parte dei costumi e delle istituzioni, che ad ogni essere umano è dovuta la stessa quantità di rispetto, perché il rispetto è dovuto all’ essere umano in quanto tale e non conosce gradi.

[ Tra le righe, c’ è una cosa dei Francesi che io amo: “Signore” (Monsieur, Madame) è il titolo che viene usato per esprimere il massimo rispetto nei confronti di una persona; in Italia ci ridicolizziamo con i nostri “Dottor”, “Avvocato”, “Ingegner”, "Professor" … dimostrandoci squallidamente inclini ad identificare il rispetto con il grado di lustro sociale che la professione o il titolo di studio comportano: abbiamo un carattere intrinsecamente venale e meschino.]

Le differenze tra gli uomini dovute alle diverse loro attività, indoli, attitudini, formazione e stato sociale non devono significare mai differenza nel grado del rispetto.

La forma più alta di uguaglianza è quella di uguaglianza nelle possibilità: ciascuno deve essere messo in grado di arrivare al livello sociale corrispondente alla funzione che è in grado di svolgere. Un uomo deve essere uguale a qualunque altro nella speranza.

“Nella medesima misura in cui è realmente possibile che il figlio di uno stalliere sia un giorno ministro dev’ essere realmente possibile che il figlio di un ministro sia un giorno stalliere”

[Bella lezione, nevvero, nella Repubblica del nepotismo, del clientelismo, delle logge, delle lobbies e delle caste!?]

“Facendo del danaro il movente unico, o quasi, di tutti gli atti, la misura unica, o quasi, di tutte le cose, abbiamo diffuso ovunque il veleno dell’ inuguaglianza.”

L’ inuguaglianza creata dal denaro può dirsi “mobile”, perché il denaro può essere guadagnato ma anche perduto, e non riguarda direttamente le persone, ma non per questo è meno pericolosa e reale.



6* La Gerarchia

Tra i bisogni dell’ anima esiste senz’ altro quello del riferimento a simboli. Ciò che un superiore deve simboleggiare sono valori che si collochino al di sopra di ogni uomo.

“Una vera gerarchia presuppone che i superiori abbiano coscienza di questa funzione simbolica e sappiano che essa è l’ unico oggetto legittimo della devozione dei loro subordinati”.

Non si venera una persona, perché ogni persona, come già detto, è degna dello stesso grado di rispetto, ma si soggiace ai valori simbolici che rappresenta.

“La vera gerarchia [la gerarchia “giusta”] ha per effetto di guidare ognuno a situarsi moralmente nel posto che occupa.”



7* L’ Onore

L’ Onore non va confuso con il rispetto, che –come più volte ripetuto-, spetta ad ogni uomo, in modo identico ed immutabile, ma riguarda l’ essere umano considerato nel suo ambiente sociale.

L’ Onore può essere soddisfatto se ogni membro della collettività può riconoscersi e farsi partecipe di una tradizione di grandezza racchiusa nel suo passato e pubblicamente riconosciuta.

Se la Francia del XV secolo fosse stata occupata dagli Inglesi, i primi avrebbero forse dimenticato Giovanna d’ Arco: l’ effetto dell’ oppressione, causa una carestia nel bisogno vitale d’ onore degli oppressi, un’ onta storica di cui vergognarsi, un desiderio di riscatto frustrato e frustante.

L’ estremo grado di privazione dell’ onore si ha quando venga negata qualsiasi considerazione ad alcune categorie sociali.

[Atroci e disumani sono, quindi, i pregiudizi del tempo attuale nei confronti degli immigrati, ad esempio.]

Creare “categorie” discriminanti tra i cittadini è un errore infamante per l’ umanità.

“Soltanto il delitto deve situare fuori dalla considerazione sociale chi lo ha commesso; mentre la punizione deve reintegrarvelo.”

In un prossimo post, elencherò i successivi.

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