giovedì 22 luglio 2010

Se una mattina d' estate il processo catartico personale si rivelasse concluso...



... potrebbe anche succedere di rimaner sbigottiti nello scoprirsi gravemente ammalati di noia, una noia che non sarebbe totalmente sbagliato definire cosmica.

E', in qualche modo, colpevole, il consentire al tedio di logorare ed alfine smantellare, pezzo per pezzo, ogni elemento, acquisizione, fede, sicurezza, riferimento, sentimento, sui quali l' intera architettura del proprio sistema di pensiero poggiava e su cui, a sua volta, l' esistenza tutta era stata eretta?
Mi dicono -e comunque pensano-, che sì, che sia così.

Colpa: concetto ancestrale e cristiano. Mi procura un' istintuale avversione, un arricciar di naso, un fremito di narici, un esordio d' ira represso a fatica, perché ogni incipit al mio processo di "purificazione" era assolutamente puro ed onesto.
Colpa: delitto, castigo. In un modo o nell'altro il capro espiatorio è richiesto, ed in questo caso m' accorgo d' essere ancora io, inizio e fatale fine della mia stessa scelta di liberazione.
Il mio catarsi mi conduce perciò ad una forma di atarassia "dolorosa", che, per questo, si auto-annulla, come un insostenibile ossimoro.
Perché, ritornando al percorso evocato inizialmente, mi è successo d' avvertire un generalizzato, esteso, penalizzante, sommo disagio, relativamente ad una mia necessaria ed improrogabile critica della storia intera della mia esistenza.
Un' esistenza che non trova parvenza di approdo, e che grava di precarietà e fatica estenuante.
Questi rapporti, queste vite -accolte e poi estromesse, con sbalorditiva risoluzione-, tutte le parole, ogni scelta: ogni atto compiuto, concertato, subito, tutto quanto, senza alcuna eccezione, mi  ha comunque sempre costretta ad una sorta di sostanziale alienazione.
Io c'entravo, sì, e c' ero, in gran parte, ma non completamente, non solo attivamente, non liberamente.
A farla da padrone (un padrone dispotico ed ottuso), è sempre stato il solito desiderio, che, forse e probabilmente, è il desiderio di tutti: trascendere.

E' di trascendere noi stessi che abbiamo bisogno tutti? E' questo che cerchiamo nell' Amore, nella Fede, nella Morte? Perché siamo tanto intollerabili a noi stessi?
Perchè siamo Idea. Schiavi delle Idee.

Perchè il vero raccolto di un' esistenza è la Noia.
Suprema, obnubilante, sovrana. Una Noia che sta qui, al centro del plesso solare, e limita l' aperto respiro.
Quasi sempre i nostri amori (intendo la sovrumana forza propulsiva che li fa nascere) ci muoiono fra le mani, dopo qualche sussulto di apparente vita. E quanto strazia, ogni volta, sentirsi inaridire il cuore, vederne le progressive crepe, come terreno che, a vista d' occhio, subisca una desertificazione repentina e definitiva.

"A me la noia assale"
Noto e familiare epilogo.

All' esistenza di un pietoso Demiurgo, l' Uomo avrebbe dovuto risultare una creatura almeno INCOSCIENTE e quindi INDIFFERENTE al proprio inevitabile termine. Sarebbe bastato un neurone da niente, recante un messaggio genetico ancestrale ed universale di imperturbabilità di fronte al tempo. Sì: un gene di "incoscienza temporale".

Non c' è giustizia nel nostro destino...




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