domenica 31 ottobre 2010

Una magia più forte della morte

Chagall
Annabel Lee

Or son molti e molti anni
che in un regno in riva al mare
viveva una fanciulla che col nome
chiamerete di Annabel Lee:
e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
che d'amarmi e d'essere amata da me.

Io ero un bimbo e lei una bimba,
in questo regno in riva al mare;
ma ci amavamo d'un amore ch'era più che amore,
io e la mia Annabel Lee,
d'un amore che gli alati serafini in cielo
invidiavano a lei ed a me.

E fu per questo che – oh, molto tempo fa –
in questo regno in riva al mare
un vento soffiò da una nube, raggelando
la mia bella Annabel Lee;
così che vennero i suoi nobili parenti
e la portarono da me lontano
per rinchiuderla in un sepolcro
in questo regno in riva al mare.

Gli angeli, non così felici in cielo come noi,
a lei e a me portarono invidia,
oh sì! E fu per questo (e tutti ben lo sanno
in questo regno in riva al mare)
che quel vento irruppe una notte dalla nube
raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.

Ma molto era più forte il nostro amore
che l'amor d'altri di noi più grandi,
che l'amor d'altri di noi più savi,
e né gli angeli lassù nel cielo
né i demoni dentro il profondo mare
mai potran separare la mia anima dall'anima
della bella Annabel Lee:

giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni
della bella Annabel Lee;
e mai stella si leva ch'io non senta i fulgenti occhi
della bella Annabel Lee:
e così, nelle notti, al fianco io giaccio
del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa,

nel suo sepolcro lì in riva al mare,
nella sua tomba in riva al risonante mare.

Edgar Allan Poe

sabato 30 ottobre 2010

A braccetto con Nietzsche, passeggiando e chiacchierando, con un breviario delle idee nelle tasche.[ La svolta della filosofia moderna] -2-

Sirio: - Ben ritrovato, amico mio, sotto la solita vecchia quercia a guardia del bivio del cammino. Se non suonasse come pura eresia ti direi somigliante al vecchio Immanuel: preciso come gli orologi di Konigsberg (od erano gli orologi di Konigsberg ad essere precisi come lui?) Quante volte ci siamo ripetuti che ciò che conta è l' attimo ... anche se il vero attimo contiene e sintetizza tutta l' eternità.. Ma l' istante non basta mai: siamo vittime del desiderio di un' "altrove" e di un' "altra volta", perennemente assetati ed affamati..., forse siamo soltanto predestinati a non trovare mai forma davvero a noi completamente confacente, e la pace interiore sarà raggiungibile con la non-vita ... Ma che pace è quella di cui non ti puoi deliziare? Brutto affare essere uomini e donne: non c' è verso di disgiungere questo bellissimo ed ingombrante corpo dallo spirito sublime, ma l' uno cozza e litiga incessantemente con l' altro, con intento prevaricatorio, ed in noi pare di ospitare in cuore la battaglia dei Titani...

Friedrich: - Salute a te, Sirio! Arrovellarti non ti condurrà a nient' altro che a sondare uno spaventoso vuoto di risposte. Ferma quelle tue assurde contorsioni! Sei decadente. Se non ti conoscessi a fondo potrei pensare che la tua sia un' oziosa mente borghese sfaccendata, ma ti so sincera e di modesto ceto... 
Osserva il silenzio in te ed ascolta il fragore della Vita.
Dionisio la fa da padrone e non conosce né il Bene né il Male. La pertinace ricerca di conoscenza ti ripagherà appena con la consapevolezza di un' inguaribile ignoranza.

Nel precedente nostro incontro hai affermato di credere almeno in un valore certo e di non nutrire dubbi sulla sua bontà. Hai detto di sapere che solo l' Amicizia contiene in sé il seme capace di germogliare senza avizzire anzitempo e di rendere lieto il vivere.

Sirio: - Sì che ci credo.
Ci credo, ma ancora non la conosco.
La sogno, ma non l' ho mai ottenuta. Giacché, per sua natura, escude qualsiasi istinto egoistico, pare disumana.
Siamo immersi nella morale - nostro malgrado, forse, ma ci abbisogna-, e perciò, secondo la concezione oggi usuale della moralità, il rapporto amichevole è il più morale che esista. Ho avuto degli estemporanei amici, o così andavo illudendomi.
Poi, qualcosa ci ha resi estranei: questo mi ha dato dolore, pur nella consapevolezza che non avremmo potuto evitarlo...
Vivere è non afferrare mai nulla davvero; vivere è fluire e lasciar andare ciò che speravi di poter trattenere ...

Friedrich: - Gli amici sono due navi, ognuna con meta e rotta diversa. Talvolta si incrociano e possono celebrare, con una gran festa, l' avvenimento. I due vascelli gettano l' ancora allo stesso porto, talvolta illudendosi d' esser giunti all' approdo. Stanno sotto lo stesso sole, per qualche tempo di felice reciproca consolazione. Poi, s' alza ancora il vento. Il vento dell' incombenza superiore dell' esistenza, invincibile e sovrano, che tutto porta ...
Si riparte per diversi mari e sotto diversi soli.
Forse, al successivo incontro si sarà talmente cambiati da non potersi neppure riconoscere; forse ci si sfiorerà senza avvedersi d' avere un tempo provato insieme felicità. Proprio per questo il nostro pensiero deve innalzarsi ed il ricordo dell' amicizia provata diventare sacro ...

Sirio: Era amicizia: non poteva essere posseduta.
E' un gran dolore.
Possedere è però tipico di quell' affezione che chiamano "amore", e che costituisce il maggior divertimento umano. L' amore per il prossimo, di cui abbiamo già detto, è sempre aspirazione a nuove proprietà.
Ed anche quello per il sapere.
Nonché quello per la verità.
Ma ciò che è vecchio ci annoia presto, ci infastidisce: tendiamo ancora le mani, non siamo mai sazi.
Le peggiori menzogne sono state ripetute come verità a proposito dell' altruistico amore.

E l' amore tra i sessi è il più estemporaneo di tutti. L' amante vuole incondizionato possesso, un potere assoluto su anima e corpo, vuole prendere stanza nel cuore dell' altro e signoreggiarvi come il più alto e desiderabile dei beni. Così facendo, desidera estromettere il mondo intero da lui, escluderlo totalmente, per esercitare indisturbato il potere della conquista.

Friedrich: - Che questo amore, divinizzato ed esaltato nei secoli ed in tutti i tempi, sia stato contrapposto all' egoismo, è pur buffo. Esso è forse l' espressione più spregiudicata dell' egoismo stesso.

Sirio: - Amico caro, non so dire, con esattezza, se noi si abbia ben ragionato. Provo una singolare sensazione, che non può decidersi se chiamarsi dolore o fredda sospensione di emozioni : la notte a venire sarà per la meditazione...
La strada giunge al termine: riecco il bivio...

Ti porgo il mio saluto e con me porto la tua amicizia. Alla prossima volta, e che giunga presto.

Friedrich: - Salute a te, stella troppo vicina alla Terra. Quel che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male. Ricordalo.

giovedì 28 ottobre 2010

Il Velo di Maja Moderna.

No che non mi sdilinquisco. Nè provo a compiacere. Non vezzeggio. Se giudico, lo faccio mentalmente, nelle mie stanze chiuse: indefettibile mio diritto perché ciascuno è sovrano di sé stesso, e soltanto in sé stesso potrà esercitare la libertà assoluta.
Non scrivo per un fine: non è importante il pubblico, ma la ricerca degli aspetti della verità.  E' un puro intrattenimento - o mezzo, o tentativo- intellettuale, tasteggiato  nelle pause della grande corsa.
In generale mi piace poco del mondo. Non è colpa mia se mi delude, se ferisce questa mia (certo eccessiva) sensibilità. Non è colpa mia se è, per la piccola parte che mi è dato sperimentare, disgustoso e nefando.
In assoluto, amo la Vita.  L' amo lo stesso, per qualche suo dettaglio straordinariamente bello, in cui vale la pena di perdersi e dimenticare.  E non c' è alcuna contraddizione. Sono orgogliosa, se non altro, del mio coraggio. Orrore e noia talvolta hanno potuto uccidere: è stoico resistere.

Comunque sia, Internet è -innegabilmente-, fenomeno rilevante, strumento dei nuovi  infelici tecnocrati  che ormai siam tutti, e descrive l' Uomo e le sue velleità -legittime, ridicole, sane o morbose, alte e basse- con grande precisione: basta saper leggere ed intuire.

***

Chi è felice, infatti, tace. Tace e sa, perché ha compreso anche le trappole della comunicazione, ed i suoi raggiri.
La felicità si nutre da sé, non arranca alla ricerca di segni, di appigli, di gratificazione, di plauso e gloria, non blatera, non bofonchia, non prova risentimento, non ama e non odia nessuno: la felicità si basta, non conosce il desiderio e pertanto è, necessariamente, disumana.

Sileno e Dioniso
D' altro canto è sempre bene ricordare il demone dionisiaco Sileno (per il quale nutro questo sentimento, alquanto strano, di tenerezza e gratitudine) e ciò che -pur recalcitrante-, rivela al mortale Mida desideroso di conoscere dal dio quale sia il maggiore bene per l' Uomo:

"'Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto. » [Nietzsche-La nascita della tragedia]

E' crudele il vero... epperò siam qui, ad azzardare ipotesi sensate d' esistenza e sperare che quell' avvinazzato d' un demone abbia spudoratamente mentito.
Come siamo fragili..., siamo eterni fanciulli, per sempre affetti da una grave forma di dislessia del passato e della Storia, che non riusciremo mai ad imparare.

C'è quest' arma arrugginita e spuntata, nelle nostre maldestre mani, che si dice amore e difende ed offende ed inganna. Nella dimensione parallela del sogno ci salva.

***

Presi nel vortice dei meccanismi più subdoli del linguaggio la nostra natura subisce una trasfigurazione portentosa e pericolosa e  l' osservazione che l' "uomo è lupo per gli altri uomini" assume sinistra consistenza proprio nel luoghi di discussione più immateriali ed  eterei possibili, come qui, nel Web, dove la libertà potenziale è più ampia. Giusto ieri ho letto un commento esplicitamente minatorio rivolto ad un amico e postato direttamente a "casa sua", nel suo blog. La  riprova dell' esistenza del carattere fortemente aggressivo della natura umana non smette mai di sconvolgermi, ma è reale realtà che si specchia nel virtuale.

In più,  ecco smascherato anche il nuovo snobismo di coloro che un tempo avevano in dispregio l' egoismo sdrucciolo borghese:  le nuove élite intellettualistiche rivelano un certo desiderio massonico di appartenenza (e conseguente esclusione del diverso e del paria) con  amici che parlano di amici con altri amici dei loro "elettivi" interessi.

Ogni tanto cado nella nostalgia degli intenti più nobili del Rinascimento, ma la Storia non si ferma.

Ecco che Internet è, allora, il Velo di Maja dell' età moderna, ed è un bene che il velo cada, per chi sa guardare: la Verità è sempre nuda.














martedì 26 ottobre 2010

A braccetto con Nietzsche, passeggiando e chiacchierando, con un breviario delle idee nelle tasche.[ La svolta della filosofia moderna] -1-


Io, Sirio

Sirio : - Mi piace passeggiare e lo faccio spesso. Ciò che è abituale lo si esegue più facilmente e volentieri, non è vero, Friedrich? Certo avverto quest' umido clima, che mi risveglia un' infinità di dolorini osteo-articolari, e   tuttavia è ormai mio costume la passeggiata nel parco, che poi, a quanto si dice, è pure azione utile e giovevole..."

Friedrich: - Mia cara amica, tu non sai, giacché non lo sperimenti, se un' altra attività ti arrecherebbe maggior piacere. Questo passeggiare, anche con tempo minaccioso ed uggioso, ti appare gradevole e mite perché lo replichi da sempre. La scoperta di una nuova attività in sostituzione a questa potrebbe farti desistere da simile consuetudine. Ricorda che ogni legge e morale mira ad instillare abitudine, cioè a farti smettere di cercare il motivo per cui tu compi molte azioni. Potrebbe, alla lunga, essere dannoso alla ragione. Obbedire all' abitudine risponde ad un' esigenza di comodità e risponde ad un impulso immediato, che cela paura per l' insolito, che avverti come pregiudizievole per te stessa. Bisogna invece sviluppare istinti più forti.

Sirio : - Potresti dire il vero: non siamo mai abbastanza desti. Guarda quel gregge di pecore, ciascuna convinta d' essere la nera - la solita forma di vanità, e la vanità, si sa, è sciocca- : non ce ne sarà una che, trasportata dal gruppo, s' avveda per tempo d' essere sull' orlo del dirupo, dal quale precipiterà puntualmente nel vuoto, sfracellandosi. Era abituata a seguire il movimento delle altre, senza troppi interrogativi né fastidiosi dubbi.

Friedrich: - Desiderava star loro vicino, e si riteneva altruista. Nella morale comune altruismo è amore per il nostro prossimo. Ma siamo certi d' esserne capaci? Dovremmo sondarci a fondo, prima di rispondere...

Sirio : - L' amore di madre che dà ogni cosa al figlio, sonno, il miglior cibo, la salute, gli averi; il soldato che desidera cadere sul campo di battaglia pur di vedere la Patria vittoriosa: non sono questi stati puramente altruistici?


E.Munch-Nietzche
Friedrich: - Non quando si ama qualcosa di sé, che potrebbe essere un' aspirazione, un pensiero, una creatura. In questo caso si tratta soltanto di una scissione: si scinde il proprio essere e se ne sacrifica una delle due parti per l' altra. Ogni qualvolta si agisce obbedendo ad una propria inclinazione (egoistica, appunto) non si è affatto altruisti. Forse la morale dell' altruismo è impossibile, perché l' uomo tende ad amare veramente soltanto ciò che conosce, cioè sé stesso. Attenzione alle verità assolute: sono strumento di livellamento, distruggono e corrodono le forme caratteristiche...

Sirio : - Friedrich, avverto grande disagio nell' udire le tue obiezioni ... E' possibile che non esista un concetto, un valore, un' Idea certi e sempre giusti?

Friedrich: - Forti, amica mia. Si deve essere forti , osare anche lo smantellamento di tutto ciò che sembrava ovvio, ma che non ha prodotto alcuna vera felicità ... Coraggio.

Sirio : - No, qualcosa c' è. L' Amicizia, ecco. Amicizia è certo e giusto. Amicizia è il valore. Ecco: siamo usciti dal bosco, le strade si separano. Proseguiremo domani ... Che la tua notte sia piena di stelle...

lunedì 25 ottobre 2010

Appunti di una ex-depressa: gli inganni dell' auto-valutazione.


Il peggiore degli incubi è quello che precede il sonno. Sotto le lenzuola, tremante di ancestrale paura - probabilmente la stessa dell' ominide rifugiato nella caverna ad ascoltare con gli occhi sbarrati i ruggiti dei predatori, i grugniti, le urla delle prede straziate, i crepitii e il minaccioso rumoreggiare della foresta-, aspetti che la tua gola si chiuda del tutto, impedendo al filo d' aria che ti tiene in vita di ventilare i tuoi polmoni, mentre il cuore batte a mille.

Sudando freddo, e resistendo dall' impulso di implorare aiuto -perché in qualche anfratto del cervello la sentinella della razionalità ancora veglia-, pensi : "Perché tanta angoscia? Quando sei morta non sai più d'essere, il dolore cessa: è il ritorno al nulla, ed il nulla è buono, anzi, è neutro... ',,, morire, dormire, forse sognare...' "
Poi, arriva il sonno, non ti accorgi come.
Benedetto.

Nessuno può comprendere quanto sia cattivo il male oscuro; nessuno che non lo abbia ospitato in sé ... Ti arrendi all' ignoranza, all' insipienza, all' insipidezza del mondo che non sa, ed accetti il tuo inferno in solitudine, con rassegnazione, di-sperando su tutto.

Sei stoica a resistere, ostinata; molti non ne sono capaci: sei una grigia eroina anonima attaccata ad una vita di cui hai smarrito ogni precedente significato -del quale, però, qualcosa che non sai più mettere a fuoco, in te, ha conservato una vaga reminiscenza- : ricordi soltanto d' essere stata capace di amare immensamente l' esistenza, pur avendone dimenticata ogni ragione.

Durante gli incontri mensili con il tuo psichiatra-vampiro, pensi incessantemente che qualsiasi cosa lui ti dica non è che una miserabile parte di terz' ordine in un copione che ha recitato innumerevoli volte, nello stesso identico modo, con un sacco di altra gente. E' annoiato e poco partecipe, sei certa d' essergli antipatica e la tua disistima ti induce a credere che egli ti consideri proprio la nullità che tu stessa senti d' essere.

Un giorno ti chiede: "Si descriva". Tu, immediatamente, pensi: "Che idiota: ecco la classica richiesta da manuale del classico strizzacervelli del c.... Come mai ci ha messo così tanto per farmela? L' aspettavo dalla prima seduta." Gli rispondi, oppressa dalla nausea che ti arreca il solo parlar di te stessa, miserabile e vana quanto ti senti: "Sono ipersensibile ed irrazionale."

Il geniale psicanalista mangiasoldi, a questo punto, ha una reazione finalmente originale, nel senso che intuisce di non poter dare (stavolta) una risposta-tipo preconfezionata ed azzarda una sentenza su misura: "Lei, signora, sbaglia totalmente a definirsi in tal modo. Lei é esattamente l' opposto di ciò che credeva. Lei è IPER-RAZIONALE... IPER, capisce? Troppo. Troppo razionale."

La tua immediata reazione interiore è di noncurante scetticismo, perché questo tizio è anche lo stesso che, nella sua maldestra ed un po' approssimativa analisi ti aveva chiesto, con l' aria di chi la sa lunga e non la dice proprio tutta, se, per caso, tu non avessi improvvisamente scoperto d' essere omosessuale e da ciò ti derivassero le tue terribili crisi di panico. Ipotesi più ridicola e bislacca non poteva fare: se c'è una cosa "normale" , in te, è l' orientamento sentimentale e sessuale, come dato di fatto.

Però ci pensi su e comprendi che sulla questione del cogitare ha ragione. Come dire: uno, per disattenzione e leggerezza crede per tutta la vita d' essere un umano ed il mattino successivo si sveglia scarafaggio. O qualsiasi altro paragone meno angosciante. Succede.

"Va bene", dici tu, "mi sento sollevata, perché, almeno su questo, devo ammettere che lei ha detto il vero. Almeno non sono un microcefalo, una deficiente, una con la testa tra le nuvole, una sognatrice senza costrutto. Questo male, allora, dipende da altro..."

"Sì; è la chimica cerebrale che non va. Le sinapsi. Roba genetica. La sistemiamo con qualche farmaco."

...

Gran parte delle forme depressive si cura, semplicemente, con i farmaci adatti prescritti da competenti neuro-psichiatri. La psicanalisi aiuta invece soltanto i pazienti collaborativi, cioè i non iper-razionali come me, i fiduciosi, i "credenti".
Con tutto il rispetto per la neuroscienza condotta in modo serio ed altamente professionale, si  deve ammettere anche che esiste un considerevole rischio di affidarsi, nei momenti di debolezza e di disagio, a persone che potrebbero favoleggiare, o parlarsi addosso.

Indro Montanelli (per citare un nome conosciuto), grande depresso, quando scoprì, dopo anni di malessere e disagio psicologico terribili, che il suo inferno poteva essere eliminato con qualche ansiolitico su misura, se ne stupì così tanto dal ritenersi, per un attimo, un mediocre. "Ed io che pensavo di stare tanto male perché speciale ed unico!" E' un errore frequente considerare il dolore come un elemento, in qualche modo, elettivo: vecchio retaggio del solito cristianesimo?

In realtà lui era e continuò ad essere speciale ed unico, ma senza il fardello di una sofferenza interiore paradossale ed eccedente il necessario, come quella cui ti costringe la malattia depressiva.

Quanto è importante la conoscenza di sé... Sopra ogni cosa conoscersi. Indi, il dialogo, il confronto ...
A guardar bene, sarebbe bastato un amico.

domenica 24 ottobre 2010

Demetrio Stratos









"Return from Workuta

Ritorno da Workuta, da un siblag - il campo di lavoro correzionale - ritorno da un Oserlag, nel distretto di Taischet sul lago di Baikal, ritorno da Magadan, Kolyma, dalle miniere di Peciora... Ritorno da un buco nero della storia del comunismo bolscevico... C'è mancato poco che la scintilla -"iskra" - si spegnesse, scrive Lenin, piangendo.
Ritorno da Workuta seduto sul bordo duro di una panca, fra passeggeri ubriachi di sonno e di vodka, immersi nel tanfo dei parascha (1). Ritorno da Workuta, passando per lo smistamento di Potma e il controllo del Gulag (2). Qualcuno mangia del kulitsch (3), qualcun'altro accende da uno stoppino fumante una papyrossy fatta a mano di forte machorka (4). Gira del tschefir (5), altri, lentamente, pescano con le dita scure da coni di carta semi di girasole comprati a Ukhta, l'ultima stazione. Ritorno da un paradosso della storia che svuota di senso la collera morale del "manifesto" del '48.

note:
1) Termine della malavita russa. E' un nome di ragazza, indica il bugliolo. Con questo termine vengono anche indicate le chiacchiere che girano nei campi.
2) "Amministrazione Centrale dei Campi di Concentramento".
3) Pane pasquale russo.
4) E' un tipico tabacco russo tagliato molto grosso.
5) Tè fortissimo.

http://www.fariselliproject.com/1978.htm

mercoledì 20 ottobre 2010

Le repliche della Storia



La mia condizione psico-esistenziale, da quando posso dirmi adulta, può equipararsi a quella di una sopravvissuta. Sono, infatti, sopravvissuta ad un impressionante numero di cadute ideali, tanto da sapere con sicurezza che l' abisso finale non sia poi così distante, ormai, e da guardarlo in relativa lontananza con un certo qual sollievo.

Questo perché io non so "distrarmi" e non riesco a dimenticare. Seppur potessi, tra l' altro, non lo vorrei. Pare proprio che la felicità non possa essere annoverata tra le priorità della mia vita, giacché –a ben guardare- non mi sono mossa mai in direzione della sua conquista.

E' evidente che nella mia indole non è il piacere a costituire il pungolo ad esistere, ma, piuttosto, lo sono la curiosità e lo stimolo alla comprensione della globalità dei significati che l' esistenza possiede ed i meccanismi, più o meno difettosi, che noi esseri pensanti e tronfi d' orgoglio adottiamo per rivestirne quella che probabilmente è, invece, una sostanziale neutralità ed indifferente inerzia. Il significato delle esistenze molto probabilmente sta nel non significare niente.

Prima di oggi, però, come tutti, ho sognato. Ora ho smesso, ed è il solo vizio di cui sia riuscita a liberarmi.

Sognando con violento desiderio, con presuntuosa pseudo-veggenza -poi rivelatasi infondata-, con autentica passione, quasi carnale, mi inventavo la Bellezza e la Giustizia.
Desiderare è sempre male e fa sempre molto male. S'ha da essere realistici e freddi, anche se non è più così divertente. S' ha da crescere, smontare dalla giostra dei sogni.
Il desiderio costituisce motivo per dolersi di un' infinità di obiettivi perduti e crea, in tal modo, enorme risentimento, generalmente, per i più puri, indirizzato verso sé stessi.
Quando sento ripetere da qualcuno il luogo comune che "la vita è sacra" reprimo la stizza.  "Era sacra"- vorrei puntualizzare io a questi saccenti- ;"lo era prima che dimenticassimo gli obblighi imprescindibili nei confronti di ogni altro nostro simile cui ciascuno di noi sarebbe stato eternamente tenuto. Diteglielo un po' agli ultimi della terra, ai dannati, ai perseguitati, ai nuovi disoccupati..."

Giacché non una soltanto delle mie speranze giovanili ha trovato soddisfazione, vuoi per impossibilità, vuoi per mia colpa ed incapacità, io sono enormemente risentita con me stessa. Ma i miei ricordi sono abbaglianti e precisi. Talvolta me li "ripasso", giusto per controllare le attuali conclusioni e non peccare di superficialità, ed oggi mi è ritornato in mente un tratto di un romanzo di E. Morante (scrittrice straordinaria che ho infinitamente stimato, forse perché donna pragmatica ma appassionatamente impegnata, nonchè oggettivamente ricca di talento).
Il Nobel non gliel' hanno dato mai...: valli a capire 'sti  (maschi) svedesi...

Si tratta di un passaggio in cui ho pianto, rabbiosamente, perchè mi scatenava violenta emozione, pur non rappresentando, nel complesso del romanzo, uno degli apici di commozione. La verità è che qui sotto ho sentito il suo alter-ego autentico, che assomigliava terribilmente al mio, ed ho "toccato" un' affinità, tragicamente dolorosa, come una ferita antica, eternamente sanguinante.
Ecco: lì ho ripreso contatto, per un attimo, con il vero Sacro, scoprendo che non è perduto, che ancora respira ed aleggia sul mondo e che il mondo, senza peraltro esserne consapevole, ne ha un estenuante ed incessante bisogno.
E così sarà -per forza-, fino alla fine del tempo.



fotografia di Charles C. Ebbets durante la costruzione del Rockefeller Center nel 1932


[pp. 579-580-581 /protagonista è qui Davide Segre, che rappresenta la coscienza intellettuale e problematica de "La Storia". Il monologo si svolge all' interno di un' osteria popolana, gli altri avventori, muti od intenti a giocare a carte, non lo interrompono, si scambiano qualche tacita occhiata, non tentano neppure vagamente di mitigare la sua solitudine.]

"... Io", rimasticò a voce bassa, "sono nato di famiglia borghese ... Mio padre era ingegnere, lavorava per una società di costruzioni ... alto stipendio ...

In tempi ‘normali’, oltre alla casa dove si abitava, noi si aveva, di proprietà di famiglia, una villa in campagna, col podere tenuto da un colono – un paio di appartamenti dati in affitto (che rendevano), – l’ automobile, si capisce (una Lancia) – più in banca non so che ‘azioni’ …” Terminato, con ciò, il proprio rendiconto finanziario, si arrestò, come dopo una fatica materiale. E poi, ripigliando, fece sapere che proprio là, in famiglia, lui fino da piccolo, aveva principiato a intendere i sintomi del male borghese: il quale sempre più lo rivoltava, al punto che talora, da ragazzo, allo spettacolo dei suoi parenti, lui veniva sorpreso da attacchi d’ odio: “”E non avevo torto!” precisò, riprendendo, nel passaggio di un attimo, la grinta del duro.

Quindi, ripiegato in avanti e con la voce ridotta a poco più che un mormorio, da sembrare una chiacchiera futile e spersa diretta al legno della tavola, si diede a varie sue riesumazioni di famiglia.

Che suo padre, per esempio, aveva tutta una scala di maniere diverse, anzi addirittura di voci diverse, a seconda che parlasse coi padroni, o coi colleghi, o con gli operai … Che suo padre e sua madre, senza nessun sospetto di offendere, chiamavano ‘inferiori’ i dipendenti; e anche la loro usuale cordialità verso costoro pareva sempre concessa come un’ elargizione dall’ alto … Le loro occasionali beneficenze o elemosine, in sostanza sempre insultanti, esse le chiamavano ‘carità’ … E parlavano di ‘doveri’ a proposito di ogni sorta di quisquilie mondane: quali restituire un pranzo, o una visita noiosa, o mettersi in tale occasione la tale giacca, o ‘farsi vedere’alla tale mostra, o cerimonia insulsa … I soggetti delle loro conversazioni e discussioni erano, più o meno, sempre i medesimi: pettegolezzi di città o di parentela, speranze di successi carrieristici dei figli, acquisti opportuni o indispensabili, spese, redditi, cali o rialzi … Però se al caso toccavano soggetti ELEVATI come la Nona di Beethoven, o Tristano e Isotta o la Cappella Sistina, assumevano una posa di sublimità speciale, quasi che pure simili ELEVAZIONI fossero privilegi di classe …

L’ automobile, i vestiti, i mobili di casa, essi non li guardavano per oggetti d’ uso, ma per bandiere di un ordine sociale …

Uno dei suoi primi urti –o il primo, forse?- lui non ha mai potuto scordarlo … “Dovevo avere, dieci anni, undici … Mio padre mi accompagna con la macchina, probabilmente a scuola (è mattina presto), quando sulla strada è costretto a una frenata brusca. Un tale ci ha bloccato, non di prepotenza, anzi con l’ aria di scusarsi. A quanto si è capito, si tratta di un operaio, licenziato, il giorno prima, da un cantiere, per diretto intervento –sembra- di mio padre. I motivi, non li ho mai saputi… E’ un uomo non ancora vecchio (sulla quarantina), ma con qualche filo grigio nei sopraccigli; di statura media, non grosso, ma forte, così che pare più alto … Ha una faccia larga, e i tratti solidi, però rimasti un po’ infantili come in certi tipi delle nostre parti … Porta una giacchetta d’ incerato e un berrettino basco, con qualche macchia di calcina, si vede che è muratore. Dalla bocca a ogni parola gli escono i vapori del fiato (dunque il fatto dev’ essere capitato di pieno inverno) … E sta lì che si sbraccia a voler dire le sue ragioni, cercando di sorridere perfino, per ingraziarsi mio padre. Ma invece mio padre non lo lascia neanche parlare, urlandogli contro, gonfio di collera: “Come ti permetti! Non una parola! Fatti da parte! Via! Via!” Sul momento mi sembra di scorgere un sussulto sulla faccia di quell’ uomo; mentre già, di dentro, tutto il sangue ha preso a martellarmi in un desiderio, anzi volontà sfrenata: che quell’ uomo reagisca coi pugni, magari col coltello, contro mio padre! Ma invece colui si scansa verso l’ orlo della strada, anzi addirittura porta la mano al baschetto per un saluto, mentre già mio padre, furente, a rischio d’ investirlo, ha premuto l’ acceleratore … “Dovrebbe nascondersi! Gentaglia! Teppa!” inveisce ancora mio padre; ed io noto che, nella rabbia, la carne, fra il mento e il colletto, gli fa delle pieghe rossastre, volgari … In quell’ uomo, invece, rimasto sulla strada, non ho visto nessun segno di volgarità. Allora mi ha preso uno schifo, di trovarmi dentro alla Lancia con mio padre, peggio che se fossi sul carretto della gogna; e ho avuto la percezione che in realtà noi, e tutti i nostri pari borghesi, eravamo la teppa del mondo, e che quell’ uomo rimasto sulla strada, e i suoi pari, erano l’ aristocrazia. E chi, difatti, se non un essere nobile, di reale dignità, e immune di ogni bassezza e frode, potrebbe trovarsi ancora, all’ età di quell’ uomo, a dover pregare umilmente un suo coetaneo per offrirgli la propria fatica in cambio di …”

martedì 19 ottobre 2010

Quanto ancora alla notte?

La notte è quieta senza rumore, c'è solo il suono che fa il silenzio
e l' aria calda porta il sapore di stelle e assenzio,
le dita sfiorano le pietre calme calde d' un sole, memoria o mito,
il buio ha preso con se le palme, sembra che il giorno non sia esistito...

Io, la vedetta, l' illuminato, guardiano eterno di non so cosa
cerco, innocente o perchè ho peccato, la luna ombrosa
e aspetto immobile che si spanda l' onda di tuono che seguirà
al lampo secco di una domanda, la voce d' uomo che chiederà:

Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...

Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace,
non so più dire da quanto sento angoscia o pace,
coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare
che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare...

e li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo
e sento d' essere l' infinita eco di Dio
e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità,
ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:

Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...

La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato,
sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato...
Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate,
tornate ancora se lo volete, non vi stancate...

Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni
e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni,
ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà,
che la risposta sull' avvenire è in una voce che chiederà:

Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell.



(Francesco Guccini)





lunedì 18 ottobre 2010

Da non leggere


Tutto sfugge.

Questo è l’ effimero. Così evidente.


E’ vento che trascina via, impietosamente, ciascuna delle cattedrali, palpabili, oppure anche oniriche ed eteree -seppur di incommensurabile bellezza-, edificate con i migliori intenti, con le più linde speranze. Ed in quel vortice  distrugge, straziando il cuore con i detriti e soffocandolo nella sabbia, nell'oblio.

“Tutto sfugge”; non già “tutto accada”.  

La consapevolezza che l’ esistenza, in sé e per sé, non consente vere scelte e che non sia possibile determinarla interamente con la sola potenza dell’ intelletto e della volontà - e per questo accettarla senza inutile presunzione di onnipotenza-, è molto diversa dalla constatazione che non vi è mai un istante, neppure fugace, in cui fare sosta ristoratrice e credere fino in fondo in una bontà e bellezza intrinseca degli umani, neppure di coloro che sembrano i migliori, e farlo anche soltanto per un po', senza fame d' eternità, con l' umiltà dei mortali.

Pare quasi che sia fatalmente impossibile per essi non tergiversare, anche inavvertitamente, e lasciare miseramente agonizzare e morire le parole dette e gli intendimenti che le avevano suggerite, nell’ incolore mondo della dimenticanza o, peggio, nel fango della millanteria.

Poter credere in loro per un istante più lungo di un respiro...
Se potessi, vorrei inchiodarli alla sbarra dell' intellettuale onestà.

Tutto sfugge: non c’ è una sola affermazione umana, una sola parola, un solo dono dell’ altrui pensiero, di cui fare esperienza come atto certamente ed inequivocabilmente vero. E’ un doloroso, perenne, sempre rinnovato dolore.

[Sciocco Prometeo,  infelice Titano:  inutile sacrificio, il tuo, per la stirpe miserabile e vana...]

E così è per quel che tutti diciamo, anche nella più totale buonafede, anche nella più pura innocenza: un raggio di sole e un’ estemporanea nuvola che transitino di fronte ai nostri occhi, possono far dissipare qualsiasi parola appena comunicata, qualsiasi verità declamata appena un istante prima.

Almeno la parola difendesse ancora il proprio senso originario...

Quanto fa male vagabondare tra le virtuali stanze, per chi ha conservato il dono dell' ingenuità.

domenica 17 ottobre 2010

Strade


Presagi

La strada di qualcuno assomiglia ad un cammino accidentato, in cui ogni passo presupporrebbe misurato calcolo, superamento dell' ostacolo -la cui mole è così poderosa da nascondere la vista del percorso successivo-, ripresa in salita con frequenti frane e cadute.

Se per alcuni crescere, divenire, esistere, assomiglia al beccheggio di un' imbarcazione sopra un mare relativamente calmo,  per altri, infatti, ciò è un po' paragonabile  alla sfida cui costringe un' erta di montagna che a tratti mozza il fiato e procura crisi di vertigine...

...

Per me è sempre stato così: una strada dissestata. Sono mio malgrado una viandante, simile -ma sempre mio malgrado- a Knulp, il vagabondo, a cui Dio ha affidato il compito di girare il mondo e di "recare ai sedentari un po' di nostalgia di libertà".

Si può viaggiare da fermi, seduti allo scrittoio, o contemplando un orizzonte da dietro il vetro di una finestra.

Proust racconta di come, da bambino, avesse provato compassione per la sorte del biblico patriarca Noè, costretto recluso nella sua arca per un  tempo estenuantemente lungo in attesa che defluissero le acque, ma sostiene poi, sopravvenuta la saggezza dell' età adulta, di non aver mai viaggiato e conosciuto gli uomini così tanto quanto durante i lunghi mesi  trascorsi rinchiuso nella sua stanza di malato.

...

Tra i numerosi sentieri delle Alte vie dolomitiche che ho percorso, ne ricordo uno che consente di attraversare le Pale di S. Martino attraverso un passo non agevole - ed anzi piuttosto ostico- che si dice Passo delle Farangole, a quasi 3000 mt di altitudine.

Genziana - [fotobrax]

Lassù l' aria è gelida, vi si incanalano correnti subdole e sferzanti e le pareti rocciose nude e grigie, oltreché viscide ed umide, sembrano barriera che respinga. Prima di arrivarci è d' uopo arrancare con impegno, causa la pendenza e la riottosità del terreno, stringendo la fune d' acciaio al fine di conquistare gli ultimi passi senza retrocedere. Se c' è neve e s' infittisce la nebbia, che possono sorprendere anche in settembre, la fune, a tratti, pare scomparire.

Al culmine lo scenario è unico e favoloso e non esiste modo diverso per guadagnarne la vista se non quello descritto: la fatica dell' ascesa. Ogni appassionato camminatore lo sa e se lo ripete come un mantra quando le sue condizioni fisiche non sono ottimali e prova dolore.

Lo si può raggiungere da punti di partenza diversi, presupponendo tempi piu o meno lunghi di marcia: ricordo che quel giorno -giacchè non pernotto mai in rifugi- ho camminato per nove ore consecutive quasi esclusivamente in salita. Arrivata al Rifugio Volpi al Mulaz - successiva mèta-, però, che pur si situa in posizione amena, la vera gratificazione stava già alle mie spalle.

Era già avvenuta nell' andare, tutta ormai evaporata con il sudore trasudato.
...

Forse una delle differenze principali tra gli uomini è questa: qualcuno va,  qualcuno sta, ma, ovunque tu la conduca, la tua anima impara soltanto ciò che già sapeva...

martedì 12 ottobre 2010

L' irresponsabile leggerezza dell' essere e gli amici perduti


Ultima cena (1464-1467, Lovanio Cattedrale)

A lamentarsi di qualcosa o qualcuno, oppure anche genericamente della sorte, ci si guadagna indefettibilmente l' etichetta di essere una tizia che si crogiola nel vittimismo e forse pure anche il sospetto che l' intento sia quello di  ottenere la simpatia altrui, strappando loro quella pseudo-empatia da strapazzo grandemente in uso tra gli umani, che poco coinvolge -in realtà- e poco costa, essendo essa rapidamente metabolizzabile, nella nostra memoria, fino a completa evaporazione nel nulla.

Ma motivi per provare stupefatta amarezza, nel corso di una vita qualunque, non si contano, e se è pur vero che ciascuno di noi è un emerito nessuno, là fuori, nel mondo, esiste una sottesa legittima speranza che, quantomeno per chi dice di amarci, dovremmo sentirci significativi ed importanti, così significativi da essere considerati preziosi ed insostituibili.
Questa speranza sarà pure velleitaria, ma certamente ascrivibile alla cerchia delle fragilità umane e degli umani bisogni che, se non altro, non recano danno od offesa a nessuno, ma rendono la vita degna d' essere condivisa e vissuta.

Eppure, non ci si abitua e non s' impara, per quanto reiterati siano i comportamenti che danno adito all' amarezza e allo sconforto e che dovrebbero servire da lezione.
Non io, almeno. Ogni volta che un amico mi tradisce si smorza in me un poco di luce, un pizzico di energia, esattamente come ogni morte di chi amiamo spegne in noi un soffio di vita.
Mi chiedo se esista qualcuno ancora capace d' amare, quaggiù. Ma credo di no. Non compiutamente. Non come potrebbe essere. Tanto vale metabolizzare anche questo.

...


Ti sono amica come supremo atto di responsabilità e -in via subito dopo subordinata- perché ti amo di vasto e non morboso amore.
Il primo impeto riguarda me, la mia idea di umanità, le speranze di riscatto della specie attraverso lo scambio, i miei Valori assoluti; il secondo attiene a quella imperscrutabile corrispondenza  con il mio sentire che mi pare di indovinare dal tuo modo d'essere e che tu sei tenuto a confortare con la prova, attraverso le tue scelte, le tue parole, i tuoi atti. Perciò ti è vietato, nel modo più tassativo, di mentire sulla tua più segreta indole e natura o di scimmiottare sentimenti  amicali che non reggeranno all' esame dell' evidenza ed all' intelligenza dell' anima.
Pur nella tolleranza di differenze anche macroscopiche nei singoli dettagli, deve esistere perfetta specularità nel precedente paradigma, altrimenti non saremo che semplici, occasionali ed annoiati conoscenti.
Cosa che non voglio, a tutela del mio tempo, delle mie energie, della fiducia nel futuro, da mantenere tersi ed incorrotti.

Ecco perché mi hai trafitta di delusione, mia povera cara: sei totalmente priva di quel senso di responsabilità e della conseguente integrità etica di cui legittimamente l' Amicizia si vanta.
Ma la miseria è tua, perché se è pur vero che il mio cuore sanguina nuovamente per ferite che non conosceranno completa guarigione -e che non sono le sole, come da tempo tu ben sai-, è altrettanto vero che il tuo, al contrario, è arido e freddo come sasso, come cosa che non vive.
[mm]

...



"...Le leggi razziali di Hitler, nel frattempo, modificano lo status degli ebrei e anche Hans non è esente da discriminazioni, sebbene Könradin, per quanto seguace del dittatore tedesco, continui a far di tutto per evitare problemi al suo amico ebreo, con il quale però i rapporti sono ormai irrimediabilmente compromessi a causa dell’ideologia. Le strade dei due ragazzi si separano alfine quando i genitori di Hans decidono di mandare il ragazzo da alcuni zii negli Stati Uniti a New York. Una volta messo in salvo il figlio, i genitori di Hans si suicidano con il gas.



Da quel momento, e per più di trent’anni, Hans non sa più nulla delle vicende di casa propria: studia a Harvard, diventa avvocato sebbene la sua aspirazione fosse diventare un poeta e si costruisce una carriera in America, quando un giorno riceve una lettera dalla Germania: è il suo liceo di Stoccarda, che chiede ai suoi ex alunni ancora in vita un contributo per costruire un monumento in memoria dei loro compagni di scuola che caddero nella Seconda guerra mondiale. Alla lettera è allegata una lista in ordine alfabetico e Hans la scorre, saltando volutamente, tuttavia, la lettera “H”. Quando sta per gettare via la lettera, spinto dalla curiosità, scorre anche la lettera mancante e legge, alla voce Van Hohenfels, Könradin: «Implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato». "

[Da: Wikipedia - L’amico ritrovato (tit. or.: Reunion. Der wiedergefundene Freund, 1971Fred Uhlman]




venerdì 8 ottobre 2010

Ritratto intimo di un genio

Amava fare la parte del solitario. Aveva una risata che, pur risultando contagiosa, talvolta urtava ed infastidiva, ricordando essa il latrato di una foca. Amava stare in compagnia, suonando il violino e cantando, bevendo caffé forte e fumando sigari, ma, nonostante questo, pareva che comunque una specie di barriera non visibile ma intuibile lo separasse dagli altri, compresi i famigliari e le amicizie intime.

Non sopportava alcun tipo di costrizione, ma amava esercitare la comunanza con coloro che gli erano intellettualmente vicini e coltivò alcune importanti amicizie per l' intera vita.

Era cordiale con tutti, gentile con le persone di ogni classe sociale ed età, positivamente disponibile verso l' umanità intera.

Non sopportava, però, l' imposizione di alcun pesante fardello emotivo. Ebbe, per questa sua "intolleranza", una vita sentimentale piuttosto turbolenta, spesso dolorosa.

"Sono davvero un 'viaggiatore solitario', non mi sono mai dato con tutto il cuore né al paese che mi ha visto nascere, né alla casa, né ai miei amici e neppure ai congiunti più prossimi; verso tutti questi legami mai mi è avvenuto di perdere un certo senso di distacco e un bisogno di solitudine"

Era una naturale espressione di una certa forma di necessaria impermeabilizzazione degli aspetti umani del suo mondo, una commistione di freddezza e calore. "Il mio ardente senso di giustizia e di responsabilità sociale si è sempre trovato a contrastare singolarmente con il mio scarso bisogno di contatti diretti con gli altri esseri umani e con la società". Disse di lui il suo collaboratore Leopold Infeld: " ... La sua estrema gentilezza e il suo pudore sono totalmente impersonali e sembrano provenire da un altro pianeta."



***




Si chiamava Albert Einstein.
Forse, per il geniale fisico, il "distacco" era necessario per dar modo ai suoi pensieri di svilupparsi in totale autonomia, oppure -forse-, era affetto da una qualche impossibilità ad esercitare compiutamente l' empatia, e quindi anche -forse- un eventuale sedicente eccesso di sensibilità, in lui, gli avrebbe provocato, empatizzando, un dolore eccessivo, che temeva di non saper sostenere.

Degli uomini continuano a piacermi più le fragilità che le glorie.

mercoledì 6 ottobre 2010

Il teorema delle basse sfere comunicative


Orfeo trovatore stanco
La sfera è il più ostico dei solidi. Ad osservarla non la puoi comprendere, non ha punto di partenza, non ha fine. Nessun angolo, né apice, né pedice; sfugge, rotola via, rimbalza, ritorna, ricomincia tutto daccapo. E’ surreale.

Ci somiglia, in modo inquietante.
L’ Uomo è una sfera che si parla addosso. Non ritiene nulla di ciò che sente, di ciò che vede e proviene dall' altro. Si aggroviglia, con mille patetici movimenti, piroetta con convinzione, sempre su sé stesso, illudendosi, invece, di andare da qualche altra parte, di comunicare, di imparare, di crescere.

A dirgli qualcosa - una qualsiasi cosa-, lo vedi poi rapidamente ingollarla senza godere del piacere della vera degustazione; quindi lasciare che le aree competenti del suo cervello meccanico la piazzino da qualche parte, in un certo suo personalissimo pertugio cerebrale.
Lì, eccolo a decodificarle con il suo arbitrario personale e limitatissimo codice di decriptaggio comunicazionale, indi  metterle in relazione con ciò che riguarda sé stesso e le quattro acche di conoscenza a sua disposizione. Riscontrata una qualche sedicente similitudine con quelle, egli decide conseguentemente se gli piaci oppure no, se hai ragione o torto, se sei stupido o geniale.

Del messaggio iniziale avrà trattenuto lo zero virgola  zero uno per cento.

A questo punto la comunicazione è già irreparabilmente compromessa e destituita di ogni autentico fine costruttivo. Da questo momento in poi potrebbe inaugurarsi la pantomima, ché, tanto, il meccanismo neuronale atto all' ascolto è disattivato.

L' anticamera degli ambulatori medici è straordinariamente istruttiva sulle cose del mondo.
Dopo la constatazione della fuga delle stagioni di mezzo, s' é lì scoperto che l' analfabetismo culturale ed affettivo generale è preoccupantemente dilagante.
Si  tratta per entrambe di affermazioni appartenenti già ad una forma di sapienza democraticamente universale, perché, quando in un gruppo, un qualsivoglia assembramento, una piccola o grande folla -insomma una massa-, due individui proclamano una qualsiasi "verità" con sufficiente sicurezza declamatoria, quest' ultima, come macchia d' olio, si propaga a tutti.
Si dice: “… quanta ignoranza c’è in giro…” e s’ alza uno stuolo di stentoree voci che “Sì, sì!”, dicono in coro, “…questi ignoranti, che calamità…” ed intanto a nessuno passa per la testa di considerare, per un attimo, l’ ipotesi d’ essere parte significativa della marmaglia scandalosamente ignorante.
“Quanta poesia-spazzatura! Quanta presunzione di talento! Tutti ritengono d’ avere in sé la vena narrativa! L’ Italia è un paese in cui tutti poetano, cantano, e scrivono… piuttosto male, purtroppo…“ ; e la folla di voci stentoree di cui sopra: “ E’ vero! Poetare, scrivere, richiedono tecnica, conoscenza della metrica,  intelligenza ed  autentica ispirazione!”; ma nel contempo, proprio costoro scrivono e poetano, senza pietà, incessantemente, cose mediocri, spesso brutte, e smisuratamente presuntuose.

Non ricordo chi l' abbia detto, ma è davvero certo che nessuno sarà mai in grado di vedere ciò che sta sotto il suo stesso naso.
Allora, nel caso in cui si desideri fortemente di ottenere esatta comprensione, si può provare con l' esagerazione, come estremo tentativo. Spiegare, approfondire, tornare sul concetto, anche a rischio di meritare accuse di pedanteria.
La potenza devastante di un’ esplosione si rivela soltanto se qualcosa innescherà la miccia: esagerarsi è l’ unico modo per rendere chiaro a tutti ciò che si è, senza stemperare in sdolcinate quanto fiaccamente oniriche e mendaci immagini di sé la verità. Esagerare, non mentire.
Si cerca sempre nell’ altro qualcosa che ci assomigli, che possa, magari, andare inserito come un tassello nel mosaico della nostra identità. Non capiamo quasi nulla di noi stessi e rimaniamo schiacciati da ogni genere di contraddizioni: è velleitaria l’ ipotesi di poter comprendere qualcun altro, e questo, in un certo senso, va a nostra discolpa, perché l' esercizio di una potente determinazione a farlo presuppone la presenza innata, in noi, di solida e tenace volontà. 

Perciò la nostra avventura sociale è frequentemente e talvolta nostro malgrado ipocrita, ed ipocrita, come pochi, è questo mondo virtuale, dove entità mascherate possono affermare qualsiasi cosa, senza l’ onere della prova e senza l' esame oggettivo di uno sguardo che colga contemporaneamente il linguaggio involontario dei gesti che accompagna sempre ogni affermazione.

[Non possiamo rivoluzionare il mondo attraverso Internet, come qualcuno di noi avrebbe pensato possibile, il Potere, ad esempio, non ne sarà mai realmente danneggiato: era un' utopia.
Possiamo incontrarci idealmente, però, e scambiarci informazioni e cultura, ma soltanto a patto d' essere integerrimi ed onesti, cioè sinceri.]

In realtà ogni tentativo che chiunque di noi faccia per giudicare una persona nella sua integrità darà luogo a risultati clamorosamente sbagliati. Nel mio intendimento, il termine “esagerazione” significa desiderio di totalità, di completezza, di esaustività e di verità ma la vera difficoltà sta nel fatto che per verificarne la presenza negli altri sarebbe necessario un intuito eccezionale, oltreché la precisa intenzione di farlo, aborrendo la pigrizia e la molle propensione all' ignavia.

La saggezza popolare (quando non è frutto di pregiudizio, e lo è molto spesso), ogni tanto ci azzecca. Ad esempio ci azzecca in pieno quando afferma che per conoscere abbastanza una persona ci vogliono un anno, un mese ed un giorno di convivenza assidua e che chi ritiene che le parole siano bastevoli a fornire sufficienti elementi di conoscenza reciproca è un ingenuo, oppure s’ inganna, oppure è in malafede.

Le parole sono merci di scambio per un venditore o una venditrice provetti; quel che è necessario capire è il fine che si prefigge chi ti parla, ovverossia che cosa in realtà da te vuole e se ama di più se stesso, la verità, od anche, perché no, te o quel che di te immagina e sogna.

lunedì 4 ottobre 2010

Alla finestra


Frida Kahlo - Io e i miei pappagalli (1941)

Ad incontrare il dolore, nell' esistenza, non occorre poi una gran concomitanza di particolari circostanze: esiste ovunque, è prodotto in quantità industriali, è la materia prima della nostra Vita, ne è anche il presupposto...
Ci penso, con attenzione: mi ci concentro a fondo: è soltanto il Dolore che ha spadroneggiato in me. Sempre. Costante è poi quello che deriva dalla puntuale caduta nel precipizio della disillusione. Lo attraggo come un magnete, lo fiuto e mi ci ritrovo invischiata. E’ mia la colpa, ma, comunque, io non ho scelta.

Il desiderio di colmare il baratro tra un essere umano e l’ altro, la presunzione di raggiungere la mèta, approdare ad un altro cuore e godere della calma perfetta, della perfetta simbiosi di armonia, piacere, bellezza, appagamento, sintonia, è talmente forte da gettarmi, perennemente, in universi interiori invece chiusi, conformisti, attanagliati dalla paura e capaci, per questo, di sbriciolare con cruda freddezza, la mia stoica, gigantesca, magnanima speranza. Sono universi ottusi, che non s' avvedono mai di ciò che mi fanno. Spero di non essere altrettanto cieca.
Nessuno mai, neppure gli amori finiti, hanno saputo ferire quanto le amicizie fallite.
E dolore autentico, sullo stesso livello, è costituito dall' impotente e per questo più che mai frustrante esperienza della sofferenza altrui.

Al di là della mia finestra il mondo respira, e vive, come può, a suo modo.

Affittano appartamenti a prezzi esorbitanti a gigantesche famiglie di diseredati. Sono variopinti, di pelle e di costumi. Sanno ancora sorridere, ogni tanto: com' è possibile... io l' avrei già dimenticato, al loro posto.

La bambina indiana sta piangendo, ora, sommessamente, sola sulla soglia della porta-finestra, inghiottendo rabbia e frustrazione.

- (Chissà che le hanno fatto, povera creatura sfortunata che ha avuto la ventura, senza la minima colpa, di uscire al mondo da una feritoia dell’ inferno...

Che fanno qui, quelle anime perse, ammassate e sovrapposte come detriti in una casa di qualche metro quadro, che non aprono, non arieggiano, non puliscono mai.

Gli uomini, flaccidi e vaqui, lenti, con volti impenetrabili, ottusi, fallocrati, ostinati, arroganti, inconsapevoli del loro sconcio;

Le donne, sgargianti, con fazzoletto sul capo: indumenti di foggia regale mai sufficientemente freschi di lavaggio.
La loro pelle, un po’ oleosa e bruna trasudante uno sconosciuto afrore di strani cereali, mescolanze speziate di non so che, un po’ sospette, non invitanti…
-Ma di che diavolo si cibano…-

E figliano, figliano, figliano… con quell’ espressione fatalistica d’ indifferenza, così somigliante all'ebetaggine animale di una mucca d' alto pascolo che rumina e guarda la valle.)

Schiaffeggiano la bambina -forse è la madre, quella donna che l' ha fatto, forse c'era un motivo, ma io non ne sopporto la visione e sento lievitare in me l' indignazione-, ed un giovane maschio di casa rincara la dose, con perfido accanimento e le strofina con disprezzo sulle labbra una delle sue NiKe tarocche.

Lei si ribella, alza la voce e gli strappa i capelli…: si tratta forse del fratello ...

- (Brava, piccola!)

… e poi la contemplo, rimasta di nuovo sola,  secernere rabbia attraverso lacrime segrete ed amare, e ripetutamente cercare di liberarsi dall’ umiliazione subita strofinandosi la bocca con la mano.

Le ricade il braccio, stancamente, al terzo tentativo: è la rinuncia e di quella vergogna, che è già marchio, non se ne libera…

Quella sua dignità stuprata urla, urla senza voce ed in modo assordante: a me pare che sia accaduto qualcosa di tragicamente ultimativo.

Ed io piango con lei, piango il dolore del mondo… e maledico la sfortuna, la casualità della nascita, e l’ umanità, che ha concepito la violenza, la povertà, l' ingiustizia… e mi vergogno di appartenervi...