lunedì 30 maggio 2011

Menare la falce allo stesso modo.

La cosa che mi galvanizzava l' anima, solo qualche anno fa, era immaginare una fuga alla grande, ma non finalizzata ad un qualche approdo felice, un Eden presumibilmente perfetto, la realizzazione di un grande sogno: so perfettamente che ogni momento di esaltata gioia scema e sbiadisce e che nel desiderio l' umano realizza nel contempo la sua vita e la sua ripetuta morte.

La meditata fuga -definitiva- era dal mondo metropolitano e dagli zombi che lo popolano, dalla pateticità dei loro ritmi e dei loro alibi, dall' ambivalenza delle loro voci, dalla noia dei loro sforzi inconsapevoli per affossare in una squallida realtà solida la meravigliosa levità dell' immaginazione, ed aspirava alla conquista di un equilibrio pacifico e temperante tra le mie passioni, i dolori, le eterne domande, e la bellezza della Natura.
Ecco: io avrei voluto, semplicemente, accordare il mio respiro con  quello presumibile di Dio.
Avrei voluto dimenticare ogni inutile orpello mondano, rinunciare a ciò che illusoriamente si ritiene utile quand' è, invece, imposizione di comodità, abitare una piccola casa di pietra, lavorare sodo ed , a sera, guardare il sole calare, senza provare angoscia.
Avrei voluto avere braccia così nerborute da assolvere allo stesso compito dei contadini di Tolstoj:

Van Gogh-contadini in siesta

"...
Cadeva già la brina: soltanto i falciatori che erano sull'altura erano esposti al sole, ma in basso, dove si era levata la nebbia, e di lato, procedevano all'ombra fresca, rugiadosa. Il lavoro ferveva. L'erba tagliata con un suono pieno ed esalante un odore acuto, si adagiava nelle falciate alte. I falciatori che si stringevano da ogni parte perché le falciate erano corte, si sollecitavano l'un l'altro con grida allegre, facendo rumore con le ciotole, e risonando col cozzar delle falci e lo stridere dell'acciarino sulla lama.
Levin camminava sempre fra il giovane e il vecchio. Il vecchio, rivestito di un giubbotto di montone, era sempre allegro, scherzoso e agile nei movimenti. Nel bosco capitavano continuamente dei funghi, gonfiatisi nell'erba sugosa, che venivan tagliati via dalle falci. Ma il vecchio, incontrando i funghi, si chinava ogni volta, tirava su e metteva in petto: "Ancora un regalo per la vecchia" diceva.
Per quanto fosse facile falciare l'erba umida e tenera, era però difficile scendere e salire per i ripidi pendii del burrone. Ma il vecchio non era in imbarazzo. Menava la falce sempre allo stesso modo, col piccolo passo fermo dei suoi piedi infilati nei grandi lapti, s'arrampicava lentamente lungo il pendio, e pur traballando con tutto il corpo e coi pantaloni che pendevano di sotto la camicia, non tralasciava nel cammino neppure un filo d'erba, né un fungo, e scherzava allo stesso modo coi contadini e con Levin. Levin gli teneva dietro e spesso temeva di cadere nel salir con la falce su di un'erta così ripida dove anche senza falce era difficile arrampicarsi; ma s'arrampicava e faceva quello che doveva. Si sentiva sospinto da una forza esterna."

Sapere con esattezza come menare la falce sempre allo stesso modo.

E' qui che concludo di aver fallito la mia vita ed è per questo che soffro come soffro: ho provato a capire, senza ancora riuscirci, il segreto dell' abilità di non assecondare il dubbio, di non cadere nella trappola degli umori, di riconoscere all' istante il fungo buono, l' uomo e la donna buoni, gli amici degni, ma non è successo, ed ancora non mi è chiaro perché .
Ho combattuto come una gladiatrice, per questo, rivoluzionando la mia esistenza, ed ora, che sono in ginocchio, sento le forze scemare ed il fiato corto, e temo che non sia valso a nulla: il dolore di una sostanziale solitudine interiore non si è acquietato, i miei simili mi ispirano sempre più una sorta di partecipe commozione senza sbocco, un po' triste, un po' perduta, e mi tormenta il sospetto che un linguaggio comune, anche solo circoscritto ad alcuni di loro, non sarà mai adottabile.

Sarà per questo che esistono i poeti: non per offrire la loro graziosa lettura del mondo, ma per squarciare le loro stesse orribili oscurità ...



  


domenica 29 maggio 2011

Fatti non foste...

Amore in braccio all' Universo, me stessa e Diego (Frida Kahlo)


Non lo racconto per fare dei personalismi o lasciar tracimare in uno spazio pubblico -qual è questo blog, pur se da me amministrato-, elementi privati che legittimamente potrebbero lasciare indifferenti. Lo faccio perché sono addivenuta alla conclusione che si tatti di un' osservazione di valenza, in un certo qual modo, antropologica.

Nei rapporti sentimentali, od amicali, o comunque dialettici con una donna, gli uomini bofonchiano più abilmente di quanto parlino e -ancor meglio-, se glielo si permette, tacciono.
Il fenomeno tende ad acutizzarsi con l' intensificazione della reciproca conoscenza ed assumere carattere permanente quando essa si trasformi in consuetudine.
La donna, dal canto suo, procede in senso esattamente opposto e contrario. La donna-compagna, la donna-amica, la donna-madre: sempre, dalla sua aspirazione tutta uterina alla comunione, al contatto d' anima, ella riceve puntuale e profonda frustrazione.
Oppure io ho conosciuto soltanto maschi dalle tendenze vagamente autistiche od anche meramente utilitaristiche:
"Ora che i nostri rapporti sono definiti -così lui pensa ed erroneamente s' illude-, posso riposare dalle fatiche della conquista, seduto sugli allori della mia virile impresa".
Uomo cacciatore/donna raccoglitrice e perfezionatrice: sillogismo odioso ed elementare. 

Tra gli innumerevoli motivi di rimostranze e lamentele, nei rapporti uomo-donna, a me pare questo uno dei più pregnanti, almeno secondo le esigenze della mia indole.
Esiste, per caso, un' attitudine di genere alla pigrizia intellettuale? Alla pigrizia e basta?

A rimirar stelle o panorami insieme ad un compagno di cammino, anche estemporaneo, mentre l' innato istinto di appropriazione maschile spingerà il camminatore alla contemplazione silente, il desiderio di condivisione farà sì che invece la camminatrice chieda: "Quant' è bello, non ti commuove tanta bellezza?"
E, prima durante e dopo l' amore, la donna aspetta con pazienza, eternamente delusa, un qualche accesso a quell' altrove di cui lui pare ignorare esistenza e finanche possibilità di sogno. 






venerdì 27 maggio 2011

Liberistiche schiavitù.

"L' essere che non può sopportare di pensare né al passato né al futuro, è abbassato alla materia" (S. Weil, Quaderno V)

Rassegnato. Inerte. Come materia.
Non sia mai, mai. Siamo umani, non sia mai.

E perché non dovrebbe sopportarlo? Perché il suo passato è atroce, o difficile; perché ha una terribile sequenza di grani di rosario, che scorrono sotto gli occhi, che conta e riconta, ciascuno temprato nel dolore, nel malessere, nella povertà, nella sofferenza, nella mortificazione di rapporti deludenti, un po' miserabili, sempre insufficienti a sedare un' atavica fame sentimentale che rischia di divorare l' anima, tant' è antica ed enorme: ecco, dimenticarlo, dovrebbe, o domarlo, come se fosse una feroce fiera della più sperduta e cupa delle foreste. Ed, in più, perché ha perso il futuro. Nessuna sventura può essere tollerata senza la fievole luce della speranza, senza il moccolo baluginante del futuro.
Un moccolo di futuro.

" Non si può immaginare  che la sventura non nobiliti. Di fatto, quando si pensa ad uno sventurato, si pensa alla sua sventura. Ma lo sventurato non pensa alla sua sventura, la sua anima è totalmente riempita dalla brama di un qualunque, sia pur infimo, sollievo."  (S. Weil, Quaderno V)

Sopportare la sventura comporta la ricerca del pane soprannaturale.
Ma io non credo nel Dio che descrivono i prelati: è un Dio incomprensibile ed indifferente, la cui più intollerabile contraddizione sta nel concedere favoritismi a chi si umilia e si prostra, dopo avergli inspiegabilmente dato l' opzione della scelta, della ragione, del pensiero.  (Ah, già, il libero arbitrio)
Io voglio avere soltanto  gli umani e gli animali mortali, accanto: non desidero la Noia eterna né  l' eterna beatitudine interrotta da paradisiaci sbadigli. Ho il mio corpo, i miei sensi, il mio pensiero: loro basterebbero a compiere la Vita fino in fondo. Basterebbe, mille volte, a dar vita al più roseo dei futuri.

"Coloro a cui era stata distrutta la città e che venivano condotti in schiavitù non avevano più né passato né futuro: di quale oggetto potevano riempire il loro pensiero?
Di menzogne e delle più infime, delle brame più pietose, pronti a rischiare la crocifissione per rubare un pollo più che un tempo la morte per difendere la loro città.
[...]
Altrimenti, bisognava poter sopportare il 'vuoto' nel pensiero." (S. Weil, ibid.)

Si rischia di diventar cattivi, quando nessuno sa più compiangere lo schiavo.
Egli può, allora, diffondere il male, far soffrire per cattiveria, dato che gli era impossibile far soffrire altri per pietà.
Ma poi, mano a mano che si scende il livello della sventura, si rinuncia finanche a diffondere almeno il male al di fuori di sé, ed essa rende docili, anche se tale docilità non è poi diversa dalla morte.

***

Ho sentito un operaio della Fincantieri, iersera, parlare della macchia di vergogna che il licenziamento  imprime nello spirito di un uomo: un padre che afferma che, in un simile stato, non potrebbe rimproverare il figlio malavitoso e delinquente, ed un altro che, dopo trent' anni di lavoro - "sono un carpentiere, ed è la cosa che so far meglio di ogni altra, a cinquant' anni e qui, in questo mezzogiorno in cui non c' è più nulla, non abbiamo che la nostra fabbrica"- promette di ammazzarsi, ché tanto la dignità è perduta.

Il liberismo ha fallito, nel più squallido dei modi, il comunismo anche. Il peccato di entrambi, la voracità.

Noi uomini non sappiamo vivere.

mercoledì 25 maggio 2011

Not dark yet



Le ombre stanno calando e sono stato qui tutto il giorno
fa troppo caldo per dormire e il tempo corre via
sento come se la mia anima fosse diventata d’acciaio
ho ancora delle cicatrici che il sole non ha guarito
non c’è neanche abbastanza spazio per essere da qualche parte
non è ancora buio, ma lo sarà presto


Il mio senso di umanità è andato giù nello scarico
dietro ogni cosa bella c’è stato un qualche tipo di dolore
lei mi ha scritto una lettera e l’ha scritta con tale dolcezza
ha messo sulla carta tutto quello che aveva in mente
non vedo proprio perché avrei dovuto preoccuparmene
non è ancora buio, ma lo sarà presto


Sono stato a Londra e nella vivace Parigi
ho seguito il fiume e sono arrivato al mare
sono stato nel fondo di un mondo pieno di menzogne
e non ho cercato niente negli occhi di nessuno
a volte il mio fardello sembra più pesante di quanto possa sopportare
non è ancora buio, ma lo sarà presto


Sono nato qui e qui morirò, contro il mio volere
so che sembra che mi stia muovendo ma sono sempre fermo
ogni nervo del mio corpo è così nudo e intorpidito
non riesco neanche a ricordare da cosa scappavo quando sono venuto qui
non si sente neanche il mormorio di una preghiera
non è ancora buio, ma lo sarà presto”.
(Traduzione tratta da Internet)

Dedicata ad un amico malato della mia stessa sindrome.

Elevazione ed abbassamento


Will Barnet - The Mirror [1981]
Io, vedi, non so più che dire,  se non, a mia parziale discolpa, dichiarare che ci ho provato seriamente, ogni volta, con le più buone intenzioni, con l' anima sgombra da ombre e macchie, con l' ingenuità del bimbo. Ho provato con impegno, talvolta con vero stakanovismo di un' operaia della Premiata Ditta Esistenza, a vivere in rispetto di pienezza, in significato, in profonda onestà. Onestà oggettiva: non rubo, non inganno, pago le tasse, non mento, e poi quell' altra, quella che tutti hanno sulle labbra e pochi nella mente, quella intellettuale. Per non parlare della "morale": nel caleidoscopio dei valori umani 'morale' vuol dir tutto e niente. 
Pensavo che tra gli elementi assolutamente indispensabili a tale progetto, andasse annoverato anche il principio della non-contraddizione, sempre ed a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Magari, proprio quel principio, senza che me ne sia mai davvero resa conto, è in odor di bigottismo. Egocentricamente bigotta, pur se laica. C' è da disprezzarsi un po'.
Tutto sommato sfuggire alla contraddizione è piuttosto inumano, ma oggi è tardi per porvi rimedio.
Oggi è tardi quasi per tutto e presto per tumulare questo spirito ribelle ed esausto.

Ma mi prende, mi prende sempre l' antico irrinunciabile vizio di analizzare la mia volontà profonda, di smascherarmi -ove dovessi-, di usare crudeltà critica -se occorre-, di decidere alfine se assolvermi od odiarmi per la dimostrata incapacità d'aver vissuto con senso.

"Elevazione ed abbassamento. Una donna che si guarda allo specchio e si orna non si vergogna di ridurre sé stessa, un essere infinito che considera ogni cosa, a un piccolo spazio. Allo stesso modo ogni qualvolta si eleva l' io (l' io sociale, psicologico, ecc.), per quanto lo si elevi, ci si degrada infinitamente riducendosi ad essere solamente questo. Quando esso è abbassato (a meno che l' energia non tenda ad elevarlo col desiderio), si è consapevoli di non essere questo.
Una donna molto bella che guarda la sua immagine allo specchio può credere facilmente di essere ciò che vede. Una donna brutta sa di non essere questo."
(Simone Weil, Quaderno VI)

Credo che il mio vivere mi abbia soltanto insegnato che tutto quanto valga fino in fondo la pena di fare, e di essere, abbia il suo inizio e la sua fine nell' intelligenza. La si contempli, la si nutra: null' altro. Tutto il resto è niente.
Se può essere, sporadicamente, intrecciata, anche per poco tempo, ne avrà piacere e ristoro, ma è meglio non contarci e non cadere nella facile trappola dell' illusione.
Soli si nasce e soli si muore, quasi sempre inconosciuti: tanto vale accettarlo.






sabato 21 maggio 2011

Che peccato

Quando, a sedici anni, gridavamo nei cortei femministi "il privato è politico" eravamo mosse da intuizioni ben precise, che ci derivavano direttamente dalla storia delle nostre madri, delle nostre nonne e delle nostre bisnonne, dalle loro vicende oscure, dai soprusi e dalle violenze subìti mai confessati, dalla loro condanna ad un' esistenza marginale e gregaria, dalla loro sessualità negata o strumentalizzata e ridotta ad un ruolo riproduttivo, e da un' infinità di altri aspetti, accuratamente nascosti sotto una pesante coltre di silenzio e d' umiliazione.
L' esortazione e l' incoraggiamento all' emersione del "privato" aveva, perciò, una duplice funzione: liberatoria, da un lato, per ciò che si riconduceva alla persona e le consentiva la constatazione di una sua similitudine ed analogia con  molte altre donne, e politica, in quanto assumeva valore di denuncia a partire dalla quale avanzare proposte ed idee di cambiamento. 
Non sto ad elencare la serie di sviluppi che, da questo primo proclama, ne derivò, ma, soltanto a titolo didascalico e limitatamente all' ambito della liberazione sessuale, cito la nascita di associazioni, consultori d' informazione e tutela della salute, Leggi a sosegno della maternità e contro la violenza alle donne, lotta all' aborto clandestino, strutture di supporto per le madri lavoratrici, ecc.

Chi, in odor di revisionismo, più tardi, ha voluto intravedere nello slogan la spettrale ed ammuffita  mano dell' ideologia o la similitudine con una politica del Grande Fratello, è, indubbiamente, mosso da malafede od affetto da ristrettezza mentale ed insufficienza critica. Ho letto perfino opinioni che lo giudicano illiberale: sappiamo che taluni "liberali" hanno l' accusa di "comunista" facile e scivolante, sono incontinenti ed irriflessivi e scappa loro sempre.

Oggi molto del nostro privato di cittadini e di persone che in troppi casi si ritrovano ad affrontare tutta una serie di nuove difficoltà e frustrazioni direttamente riconducibili a condizioni di precarietà lavorativa, incertezze ed ansie generalizzate, isolamento e nuove solitudini, avrebbe estremo bisogno di diventar politico, esattamente come allora, ma credo che sia intervenuta, nel frattempo, una sensazione di pervadente disillusione, una seduzione alla rinuncia, un po' indignata ed amara, anch' essa generalizzata e vaga, che ammalano l' anima indirizzandola all' egotismo ed invitano a preferire la propria angusta ma protettiva tana, ad un' agorà fasulla in cui  se non volano le pietre, alla fine della festa inizia già la dimenticanza.

Tutto risiede nei rapporti infraumani, che non sappiamo più condurre e che fino a ieri -più giovani e coraggiosi- osavamo.
Siamo noi, per primi, a non saperci più dare gratuitamente, a non saper concepire in alcun modo rapporti che non implichino per forza una istituzionalizzazione oppure un traguardo pratico.
Siamo noi ad aver dimenticato la gioia disinteressata della vicinanza senza specifici fini, della curiosità, anzi, della meraviglia, che ogni umano saprebbe instillare in un altro semplicemente offrendosi senza intenzioni, per il solito vecchio amore della conoscenza.
Ho perso tutti gli amici maschi, anche quando avrei avuto bisogno di sostegno morale a seguito di  difficili fasi della mia esistenza, nel momento esatto in cui hanno dovuto escludere qualsiasi ipotetica digressione "piccante" della nostra amicizia, e le amiche donne quando le mie ribellioni a modelli esistenziali che loro avevano accettato, le imbarazzavano.
Siamo diventati volgari, materialistici, edonisti in senso truce.  Ed anafettivi. Che peccato.



venerdì 20 maggio 2011

Demo-liberal-liberismo -2-

(segue da post -1- pubblicato in data 18/05/2011)

(tratto da un' analisi di Giuseppe Bedeschi)

"In memoria degli innumerevoli uomini, donne e bambini di tutte le credenze, nazioni o razze che caddero vittime della fede fascista e comunista nelle Inesorabili Leggi del Destino Storico.":

è questa la dedica, posta sul frontespizio dell' opera di Karl Popper The poverty of historicism pubblicata la prima volta su una rivista nel 1944-45.
Per Popper nella "società aperta", ovvero quella liberal-democratica, il fondamento non può essere soltanto il principio della maggioranza. Ciò può apparire piuttosto comprensibile se soltanto si considera che una maggioranza liberamente espressa dagli elettori attraverso il suffragio universale può essere antidemocratica ed illiberale: il nazismo giunse al potere con un' imponente seguito di massa.
La "società aperta" deve sapersi, dunque, difendere dai propri nemici (comprese le tentazioni insite nelle posizioni di potere) soltanto appellandosi costantemente alle proprie ragioni ideali ed alla propria capacità di consentire il continuo dialogo ed il confronto, che devono mantenersi il più larghi possibile.
Contro le involuzioni totalitarie ed autoritarie, quindi, è necessario elaborare un complesso di principi, che il pensatore austriaco identifica nella stretta connessione tra "razionalismo critico" o scientifico e "società aperta".
Così come la scienza è un sapere fondato sull' esperienza , in continuo progresso e cambiamento -epperciò anche fallibile e precaria-, anche la società perfetta non può esistere (ecco la critica a Marx) e diventa indispensabile garantire in essa il pluralismo di confronto politico e d' informazione, sì che sia sempre possibile che anche una minoranza possa, con il consenso popolare, diventare  a sua volta maggioranza in un clima in cui  il confronto tra i partiti, le associazioni, i giornali, i sindacati, consenta la maturazione di un' opinione pubblica libera.
Anche gli interventi dello Stato, allora, avverranno in ottemperanza a finalità di ingegneria sociale: essi "ci riportano alla nostra originaria affermazione che si devono pianificare misure per combattere i mali concreti, piuttosto che per realizzare qualche bene ideale. L' intervento dello Stato deve essere limitato a quanto è veramente necessario per la protezione della libertà."
Grande pensatore sul tema democrazia lo fu anche Hans Kelsen. La democrazia, egli affermò, ha il proprio fondamento nella libertà. In convinto dissenso con i marxisti che opponevano ad una democrazia fondata sul principio della maggioranza (democrazia"solo formale") quella fondata sull' uguaglianza sociale (democrazia "sostanziale") egli sottolineava che anche storicamente la lotta per la democrazia è sempre stata una lotta per la libertà politica, ossia per la partecipazione del popolo alle funzioni legislative ed esecutive, e che l' uguaglianza deve intendersi come il dovere di partecipare in uguale misura alla formazione dell' idea dello Stato.

Egli aggiungeva che mentre è possibile immaginare una società perfettamente egualitaria ma non libera (senza poter cioè escludere che essa possa nel contempo essere autoritaria od addirittura totalitaria), non è invece concepibile una democratica che  non rispetti le libertà fondamentali dell' individuo, quali quelle di pensiero, parola, stampa.
Da qui, deriva la necessarietà del suffragio universale e dei partiti politici, perché l' individuo isolato non ha politicamente alcun influsso sulla formazione delle idee dello Stato.
Kelsen, sensibile come Popper ai presupposti filosofici-epistemologici del pensiero liberal-democratico, rimane poco efficace nell' affrontare il nesso intercorrente tra liberalismo e struttura socio-economica.

Quale rapporto intercorre, allora, tra liberalismo e liberismo?
Sempre interessante ed educativo rimane il confronto tra le concezioni espresse in Italia tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi.
"... l'idea liberale può avere un legame contingente e transitorio, ma non ha nessun legame necessario e perpetuo con la proprietà privata delle terre e delle industrie [...] essa si oppone primamente e direttamente all' oppressione e falsificazione della vita morale da qualunque parte si eserciti, da assolutisti e da democratici, da capitalisti o da proletari, da czar o da bolscevichi, e sotto qualunque funzione mitica, sia quella della razza ariana, sia l' altra della falce e martello". ( B. Croce, recensione del libro  Le origini del liberalismo europeo di H.J. Laski)
"l' ideale liberale ha natura religiosa", cioè muove dalla libertà come esigenza morale.
A Luigi Einaudi questo carattere metastorico che il Croce attribuiva alla libertà ripugnava fortemente.
Egli credeva invece che il rapporto tra liberalismo ed ordinamenti economici fosse organico e profondo.
Nel mondo contemporaneo egli riteneva che, seppur diversissimi nei presupposti, comunismo e capitalismo monopolistico negassero nella stessa misura la libertà umana.
Entrambi i sistemi, infatti, "tendono, per la indole loro propria a ridurre gli uomini a meri strumenti, anelli minimi di una ferrea catena che lavora e produce, [...] a imprimere uno stampo uniforme su tutti gli uomini, a farli svegliare, muovere, entrare in certi luoghi di lavoro, che si direbbero di pena, alla stessa ora, a compiere i medesimi atti".  Di conseguenza, "perché affermare che la libertà morale può prosperare in qualunque ordinamento economico? Se la filosofia indaga la realtà, perché chiudere gli occhi al fatto che i certi ordinamenti economici la libertà è appannaggio di pochissimi eroi o ribelli?"


giovedì 19 maggio 2011

L' assurdità elettiva

Io - sto considerando-, ho problemi "veri", ossia solidi, materiali, reali, che non è in mio totale potere risolvere facilmente con il solo ausilio della volontà dato che hanno diretta relazione con elementi oggettivi al di fuori di me: persone o società.
Ne ho molti, e piuttosto pesanti: crucci di sopravvivenza materiale e dolorosi conflitti di relazione.
Così il modo in cui mi sento assomiglia a quello -provo ad immedesimarmi-, di chi tenta un' andatura sciolta nonostante abbia le caviglie intralciate da pesantissime catene d' acciaio.
Catene aggrovigliate, indistricabili: l' assenza di nesso, la mancanza di senso, in uno qualsiasi dei fini che ci si potrebbe inventare per giustificare la propria vita.
Ho profonda consapevolezza del mio non- ruolo, in questo mondo, e ne conosco perfettamente le cause, le ragioni e l' ineluttabilità. Non c' è più nulla che possa sorprendermi, neppure la malattia, o la morte.
Sono una perdente, in definitiva.
Chiunque interiorizzi il senso dell' assurdo lo è. Oppure m' illudo.
Ma, per chi ne intuisce tutt' intero il senso, è una condizione elettiva.
Una perdente per vocazione, una che non sa stare ai giochi, anche se non ha alcuna velleità di dettare le regole. Il gioco della vita impone quella dose di autoinganno che io non so più provare.
Semplicemente, la maggioranza dei giochi ha sempre qualche sfaccettatura ripugnante, miserabile, meschina, insignificante, sulla quale non so sorvolare. E comunque non vorrei farlo.
Ho una mente ingegneristica: ogni atto, ogni fatto, ogni parola, mi devono quadrare perfettamente.
Dacci oggi la nostra integrità quotidiana, anche se è amara come fiele.

Pecco di mancanza di levità, ho un cuore pregno di memoria ed in genere non sono baciata dalla Fortuna.

Oggi vorrei fondare la Confraternita degli Assurdi Anonimi. Aspetto adesioni: analizzeremo insieme l' inutilità del nostro dolore, che è immenso. Similmente, vi amerò in modo meravigliosamente assurdo, giacché niente ha meno senso dell' amore.

Eppure, veder bruciare l' esistenza, è ancora commovente. Resta da decidere perché esista, in me, questa ostinata tenerezza verso i miei simili. Quest' amore è insensato, ma immane.

"Il prete mi ha guardato con un po' di tristezza. Ero completamente addossato al muro e il giorno mi colava sulla fronte. Ha detto qualche parola che non ho sentita e mi ha chiesto molto in fretta se gli permettevo di abbracciarmi: 'No', gli ho risposto. Si è voltato ed è andato verso il muro su cui ha passato lentamente la mano: 'Ami dunque questa terra a tal punto?' ha mormorato. Io non ho risposto nulla.
E' rimasto abbastanza a lungo girato così. La sua presenza mi pesava e mi dava fastidio. Stavo per dirgli di andarsene, di lasciarmi, quando di colpo si è messo a gridare, con una specie di enfasi, voltandosi verso di me: 'No, non posso crederti. Sono sicuro che ti è avvenuto di desiderare un' altra vita'. Gli ho risposto che naturalmente mi era avvenuto, ma ciò non aveva maggiore importanza che il desiderare di essere ricco, di nuotare molto veloce o di avere una bocca meglio fatta. Erano desideri dello stesso ordine. Ma lui mi ha interrotto e voleva sapere come vedevo quest' altra vita. Allora gli ho urlato: 'Una vita in cui possa ricordarmi di questa', e subito dopo gli ho detto che ne avevo abbastanza. Voleva ancora parlarmi di Dio, ma mi sono avvivinato a lui e ho cercato di spiegargli un' ultima volta che mi restava soltanto poco tempo. Non volevo sprecarlo con Dio. Ha cercato di cambiar discorso chiedendomi perché lo chiamavo 'signore' e non 'padre'. Questo mi ha dato ai nervi e gli ho risposto che non era mio padre: era anche lui come gli altri.
'No, figlio mio', mi ha detto mettendomi la mano sulla spalla. 'Io sono con te. Ma tu non puoi saperlo perché hai un cuore cieco. Io pregherò per te'.
Allora, non so per quale ragione, c' è qualcosa che si è spezzato in me. Mi sono messo a urlare con tutta la mia forza e l' ho insultato e gli ho dettodi non pregare e che è meglio ardere che scomparire. L' avevo preso per la sottana. Riversavo su di lui tutto il fondo del mio cuore con dei sussulti misti di collera e di gioia. Aveva l' aria così sicura, vero? Eppure nessuna delle sue certezze valeva un capello di donna. Non era nemmeno sicuro di essere in vita dato che viveva come un morto. Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro d lui, più sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me. Avevo avuto ragione, avevo ancora ragione, avevo sempre ragione. Avevo vissuto in questo modo e avrei potuto vivere in quest' altro. Avevo fatto questo e non avevo fatto quello. Non avevo fatto una tal cosa mentre ne avevo fatta una tal' altra. E poi? Era come se avessi atteso sempre quel minuto... e quell' alba in cui sarei stato giustiziato. Nulla, nulla aveva importanza e sapevo bene il perché. Anche lui sapeva perché. Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio eguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo. Cosa mi importavano la morte degli altri, l' amore di una madre, cosa mi importavano il suo Dio, le vite che ognuno si sceglie, i destini che un uomo si elegge, quando un solo destino doveva eleggere me e con me miliardi di privilegiati che, come, come lui, si dicevano miei fratelli? Capiva, capiva, dunque? Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato. Che importa se un uomo accusato di assassinio è condannato a morte per non aver pianto ai funerali della madre?
[...]
Ma già mi strappavano il prete dalle mani e i guardiani mi stavano minacciando. Ma lui li ha calmati e mi ha guardato un momento in silenzio. Aveva gli occhi pieni di lagrime. Si è voltato ed è scomparso."

(Albert Camus, Lo straniero)

mercoledì 18 maggio 2011

Demo-liberal-liberismo -1-

Avevo un amico - marito della mia migliore amica-, medico cardiologo di un ospedale veneziano, che si riteneva innocente ed irresponsabile rispetto alle sue rispettabili ed imminenti proprietà immobiliari.
Ora, lui mi voleva un gran bene, lo so; provava una certa stima nei miei confronti e ci siamo scambiati via mail molti racconti, confidenze e pareri  su argomenti umanistici nonché, nello specifico, sulla sua "bislacca" vita matrimoniale, che, ad onor del vero, dopo anni ed anni di lamentele, ritengo non si sia ancor in alcun modo risolta.
Naturalmente votava a sinistra (la sinistra ben nota, borghese fino all' osso, di chi va in vacanza cinque volte l' anno e guarda un martello come si fa con un reperto archeologico appartenuto ad un uomo di Neanderthal), ed era un pochino intellettuale, se pur poi, nelle scelte e nei calcoli di convenienza, pragmatico ed interessato come uno di destra. Che fare: la perfezione non è che astrazione...
Un giorno, a casa loro -non so bene come fu-, dichiarai, con la mia antica irruenza ed un po' di perfidia, che la concentrazione di ricchezza, l' accumulo di denaro, le corpose proprietà immobiliari e via dicendo, sono un crimine. Dissi così: "La ricchezza è mostruosamente nefanda, perché orribilmente ingiusta. Mi fa schifo."
Fui gentile, mi pare, perché non dissi affatto "Voi ricchi mi fate schifo": ciò non sarebbe stato corretto, perché una persona si compone di molti lati e di una sua complessa storia, e potrebbe anche essere il caso che qualcuno si ritrovi ricco per iattura, grazie a macchinosi automatismi ereditari.
Lui, infatti, mortificato, mormorò quasi impercettibilmente: "Ma io non ne ho colpa.", ed io, per compassione (oh, mio povero, povero amico...), risposi soltanto con uno sguardo e lasciai cadere il doloroso argomento.

Noi moderni modelliamo le parole -ma anche i concetti- come fanno i bimbi con la plastilina. Ci piace estenderne i significati, giocare con i segni, ingegnarci con la fantasia per accomodarne il senso nelle varie circostanze. Noi siamo anche potenti sognatori, ed al sogno, se occorre, sacrifichiamo anche la coerenza e l' intellettuale onestà. Io, il suo sogno di sinistra, non ho avuto cuore di strapparglielo; e poi non è mica il solo a far confusione...

Non c' è termine, canone, idea, concetto, propri di politica ed economia, che non siano stati revisionati.
D'altronde, siamo in perenne divenire...
Ho perso il conteggio delle volte in cui gli esponenti dell' attuale governo han pronunciato la parola "liberali". "Noi siamo liberali; democratici e liberali". "Noi non siamo mica comunisti..."
Ma che cos' è, sto liberalismo? Ed il liberismo? E che c' entrano con la democrazia?
***

Il liberalismo
(sunto da un' analisi di Giuseppe Bedeschi)
Nel 1911 Leonard T. Hoblouse, politologo e sociologo, pubblicò in Inghilterra il libriccino Liberalism, che elaborava la concezione del liberal-socialismo.
Questi, criticando aspramente la concezione individualista del vecchio liberalismo secondo la quale  l' uomo d' affari  era "colui che s' è fatto da solo" (un po' come ritengono oggi tanti imprenditori del Nord Est), quasi come se la proprietà venisse conferita dalla Natura o dalla Provvidenza, osservava che egli, invece, senza la società che gli fornisce i mezzi per coltivare la sua attività (le strade, le ferrovie, il mare, gli operai specializzati, la somma delle intelligenze a sua disposizione, gli acquirenti dei suoi prodotti e tutto ciò che implica genericamente uno sforzo collettivo) non avrebbe mai raggiunto alcun successo, perciò "Se egli scava alle fondamenta della sua fortuna si renderà conto che, come è la società che mantiene e garantisce i suoi possessi, così la società è un socio indispensabile della creazione originale." (v. Hobhouse, 1911)
I problemi sociali, però, non si risolvono con il liberismo: Hobhouse non ebbe difficoltà a concepire una organizzazione socialistica dell' industria (socialismo "liberale", in antitetsi a quello "illiberale" di ispirazione marxista) e ciò comportava la conciliazione tra libertà ed uguaglianza, liberalismo e democrazia. Attraverso tali compenetrazioni egli riteneva che i benefici del meccanismo economico così innescato non si sarebbero limitati a favorire un ristretto numero di soggetti, ma l' intera società.
Con la terribile crisi del 1929 (Am j liberal? si era chiesto Keynes nel 1925) era apparso ormai chiaro che l' idea di un mercato in grado di autoequilibrarsi e di uno Stato in posizione di mero garante della concorrenza lecita era smentita.
Nel 1925 Guido De Ruggero nel suo libro Storia del liberalismo europeo affrontò l' analisi del rapporto tra liberalismo e democrazia, che è insieme di continuità e di antitesi e si fonda essenzialmente sui due principi: estensione dei diritti individuali a tutti i membri della comunità e diritto del popolo a governarsi da sé. Tuttavia esiste una profonda diversità nel pensiero politico dei due concetti, in grado di originare ugualmente conflitti.
In sintonia con il pensiero di Alexis de Tocqueville, De Ruggero sottolineava anche l' effetto di conformistica uniformità che le grandi società democratiche di massa  necessariamente provocavano. Burocratizzazione, diffusione di una mentalità assistenzialistica in cui tutti hanno diritto a tutto a prescindere dall' apporto del singolo. Ecco il sorgere di "una specie di statolatria, cioè l' Idea che lo Stato sia una specie di provvidenza terrena: un' idea che costituisce la forma più degradante dell' idolatria moderna".
Comincia a profilarsi la questione dell' uomo-medio e delle masse, analizzati, anche sotto una prospettiva antropologica e sociologica,da José Ortega y Gasset nel suo "La rebelion de las masas".
Chi era il suo "uomo medio"? E' "l' uomo in quanto non si differenzia dagli altri uomini, ma ripete in sé stesso un tipo generico". Ortega aveva una concezione elitistica della storia e riteneva che fino alla fine dell' Ottocento e ai primi del Novecento fossero state le élites ad aver dominato e che in base  alle elaborazioni dei loro programmi le masse avessero semplicemente aderito.
Senza chiarire con precisione la sua analisi, egli constatò poi l' evento "catastrofico" dell' avvento di un dominio dell' "uomo-massa" (inerte,  pivo di obiettivi di largo respiro, senza inquietudini  né interrogativi, irrispettoso del dissenso) e la sconfitta delle aristocrazie intellettuali, perché "la massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia come 'tutto il mondo', chi non pensi ' come tutto il mondo' corre il rischio di essere eliminato. Adesso 'tutto il mondo' è soltanto la massa."
Nonostante Ortega fosse stato tacciato di una lettura "reazionaria" dei fenomeni,egli vide chiaramente delineata, nelle caratteristiche antropologiche dell' uomo-massa, la base dei regimi totalitari del xx secolo.

(continua)





domenica 15 maggio 2011

Séraphine Louis (de Senlis)



Donna del popolo, professione serva, pittrice autodidatta primitiva, con un misterioso ancestrale legame con la natura ed una religiosità arcana, morta in un asilo psichiatrico.

Il film di Martin Provost, e l' interpretazione della protagonista, mi hanno commossa (ma non ci vuole troppo a commuovermi...).

Certe vite hanno in sé la forza del simbolo, come se un' insieme di combinazioni fatali, casuali, abbia potuto convergere in un solo magnete, un essere umano ignaro, per esprimersi in potenza.

Seduta sui primi rami di una possente quercia, con le gambe penzoloni sul vuoto, Séraphine annusava il vento, cantando sottovoce inni ispirati.
"Quando sono infelice, vado tra i fiori, abbraccio gli alberi, ascolto l' acqua del fiume, la musica della natura, e dimentico il mio dolore".

sabato 14 maggio 2011

Forse c'è.

Come si fa a gestire le troppe macerie di una vita? Paiono voler tumulare definitivamente quel po' di energia vitale rimasta dopo innumerevoli tenzoni con gli spettrali mulini a vento.
Quanto è  presuntuosa l' alta considerazione di sé che riesce a trascinare con inaudita veemenza elementi idealistici sulla pietrosa realtà, con il risultato che i mulinelli di sabbia che dal terrestre deserto il vento ottuso delle consuetudini e delle forme ammesse solleva, li soffoca e li mortifica, vanificandoli ed aggiungendo al già pesante fardello di un cammino, di fatto, lontano dalla propria autentica natura, ulteriore schiacciante peso!

Come diceva quel maledetto da Dio e dagli uomini? Diceva così:
"... puoi pure non crederci ma c’è della gente che attraversa la vita con molto poco attrito o angoscia. Vestono bene, mangiano bene, dormono bene. Sono soddisfatti della loro vita familiare. Hanno momenti di dolore ma tutto sommato nessuno li disturba e spesso stanno decisamente bene. E quando muoiono è una morte facile, solitamente nel sonno. Puoi pure non crederci ma la gente così esiste. Anche se io non sono uno di loro. Eh no, io non sono uno di loro..." (Charles Bukowski)
C' è colpa grave nell' essere ciò che si è?

Che altro può fare una piccola  donna stanca e disillusa, che pensava di dover gestire la sua vita in odor di coerenza, se non proseguire con andatura sempre più bislacca perché ciò che sembrava soltanto ieri chiaro e giusto -secondo la sua idea di giustizia-, oggi non ha più né contorni né vie, né approdi? E' in trappola: questo è evidente. Sinapsi ed ipotesi ed ansia di completezza sono la rete del suo recinto di filo spinato.
Resistere, quindi essere, sì; l' ha già detto, l' ha già scritto. Non dice e non scrive altro: ha il pallino di cercare sempre i noccioli delle cose. Scava e gratta, come un cane da tartufo, per scovare nuovi noccioli sotterrati. Che il più delle volte sono amari, anzi amarissimi. E la rendono odiosa ai suoi simili. E' presunzione, questa? Lei non sa più dirlo. Lei la sente come una naturale necessità. Non s' ha forse da conoscere sé stessi e rispettare la propria natura? O la si deve conciliare con qualche dettame da chissà chi approvato?

Ognuno ha il proprio personale tempio, la sua tiepida ed ospitale segreta religione, una fiaccola, anche minuscola, da portare al braciere in cui arde, anche soltanto per sé, una fiamma di significato.
Una volta smarriti o dimenticati i motivi della corsa, non si è che tedofori falliti ed inutili.

La piccola donna pensa di non essere affatto Giobbe, né di aver avuto mai un Dio che l' abbia messa alla prova, dandole modo, se non altro, di farle constatare d' essersi avveduto della sua esistenza.
Ma non si sta lamentando, crogiolata in un narcisismo che tutti gli altri narcisisti in incognito della Terra -mascherati da filantropi- non aspettano che di addebitarle; no, lei non si lamenta e di solito sorride. Quel che la donna fa è un semplice tentativo di comprendere il meccanismo della sua vita, provando a darle un senso. Capire, ad esempio, perché così tante circostanze -quasi tutte- congiurino contro la riuscita dei suoi piani.
Perché, ad esempio, quando offre amicizia l' altro si aspetti passione o assistenza e, non ottenendola, l' abbandoni; perché suo figlio vivo si comporti come un figlio morto; perché chi dice di amarla la voglia diversa; perché non le sia possibile qualche momento di riposo, magari sporadico, per dimenticarsi, per dimenticare.
Forse il Destino c'è.







mercoledì 11 maggio 2011

Il mistero di Caino

" [...]
Caino: Ahimé! mi sembra di essere nulla.*

Lucifero: E dovrebbe essere la somma umana della conoscenza, conoscere la nullità della natura mortale; trasmetti questa sapienza ai tuoi figli, e risparmierà loro molti tormenti.

Caino: Spirito altero! Tu parli con orgoglio; ma, per quanto orgoglioso, hai un superiore
.
Lucifero: No! Per il Cielo che Egli sostiene, e per l' abisso, e l' immensità dei mondi e della vita, che io reggo con lui. No! Ho un vincitore, è vero, ma non un superiore. Omaggio riceve da tutto il creato -ma non da me-; io lo combatto, così come l' ho combattuto nel più alto dei cieli. Per l' eternità e gli abissi incommensurabili dell' Ade, e i reami, e i reami interminati dello spazio, e l' infinità delle epoche senza fine, tutto, tutto contesterò! E mondo dopo mondo, e astro dopo astro, e universo dopo universo tremerà sulla bilancia , finché il grande conflitto cesserà, se mai cesserà, cosa che non avverrà, finché io o lui non sia estinto! E cosa potrà spegnere la nostra immortalità, o odio reciproco e irrevocabile? Egli come conquistatore il conquistato chiamerà 'male'; ma quale sarà il 'bene' da lui donato? Fossi io il vincitore, le 'sue' opere sarebbero stimate come le sole malvagie. E voi, nuovi mortali appena nati, quali sono stati i suoi doni nel vostro piccolo mondo?

Caino: Pochi; e alcuni di essi soltanto amari.

Lucifero: Torna con me, allora, alla tua terra, e prova ciò che resta a te e ai tuoi dei suoi doni celestiali.
Il male e il bene sono tali nella loro essenza, e non resi buoni o cattivi dal donatore; ma se vi dà il bene  chiamalo consenguentemente; se male scaturisce da 'lui' non nominatelo come 'mio', finché non conoscete meglio la sua fonte vera; e non giudicate dalle parole, sebbene di spiriti, ma dai fatti della vostra esistenza, così come deve essere.
Un 'buon' dono è stato fatto dal pomo fatale -la vostra ragione-; che non sia ribaltata da tiranniche minacce atte a forzarvi alla fede contro ogni percetto esterno e sentimento interno: pensate e resistete, e date forma a un mondo interiore nel vostro petto -là dove l' esterno fallisce; così sarete più vicini alla natura spirituale e guerreggerete trionfando sulla vostra."

(George Byron, da Cain, A Mystery, ATTO II, SCENA II L' Ade. Entrano Lucifero e Caino)

* Caino ha un grande orgoglio e di buon grado avrebbe gradito dal demonio promesse di regni e potere. Ma Lucifero ha il compito di fargli comprendere l' inadeguatezza della sua stessa alta immagine di sé e di deprimerlo mostrandogli le cose infinite -che stanno laggiù, nell' Ade- sottolineando così la sua caducità mortale. Ecco che Caino compirà la catastrofe uccidendo Abele: per intima stizza verso l' inadeguatezza del suo stato rispetto all' idea che aveva di sé stesso, non per banale e spregevole invidia.

Così come il Leopardi, nel suo A se stesso: "Al genere nostro il fato/ non donò che il morire. Ormai disprezza/ te, la natura, il brutto/ poter, che, ascoso, a comun danno impera, / e l' infinita vanità del tutto", anche gli eroi romantici di Byron traggono il loro riscatto dal destino in un sovrumano coraggio solitario che è nel contempo accettazione della realtà naturale ed intuizione del proprio stesso sconfinato spirito.

Il Cain di Byron mi piace, perché egli è un superbo ribelle, ed io, i ribelli, li amo tutti. Sono indispensabili all' umanità, alla Poesia, all' Arte, all' informazione; spesso sono gli anti-eroi della politica e gli unici vedenti in un mondo avvolto dalle cortine delle grandi menzogne.

...anche i blogger, un pochettino, ciascuno a proprio modo, lo sono... Sì, un po' cainisti lo siamo anche noi...





martedì 10 maggio 2011

Virus

Siamo nei guai, tutti quanti, noi zombi di sinistra. La Storia ci ha conciati male. Non sappiamo più chi siamo. Crisi identitaria profonda, autocritica feroce, odor di decadenza, memoria frantumata, nessun anticorpo in grado di combattere il letale virus revisionista.
Mi piace, perciò, leggere questo, "ero e resto di sinistra" di Valter, e questo, del romantico Disagiato.

Io non ho che dubbi, lo ammetto, in ogni campo del pensiero, ma ero, sono e sarò "di sinistra" perché da questa parte, e non da quella opposta - mai-, ci si è posti il problema della giustizia sociale, dell' estensione dei diritti, della dignità umana, e per quello s' è offerta anche la propria vita.
Ciò che ne han fatto i voraci apparati dei partiti e degli Stati, in passato ed ora, non intacca il principio originario, così come il vero cristiano non sbiadisce nell' ipocrisia della Chiesa. 




domenica 8 maggio 2011

Essersi assenti

"Siamo franchi, avevo scuse? Una, ma così misera che non saprei come farla valere. In ogni modo, eccola: non son mai riuscito a credere veramente che le faccende umane fossero cose serie. In che cosa consistesse la serietà, non lo sapevo: certo non in quel che vedevo o che mi sembrava soltanto un gioco divertente o tedioso. Certi sforzi, certe convinzioni, non le ho veramente mai capite. Guardavo sempre, con aria stupita ed un po' sospettosa, quelle strane creature che morivano per del denaro, si disperavano per la perdita di una 'posizione', o si sacrificavano con grandi arie per la prosperità della famiglia. Capivo meglio quel mio amico che s' era messo in testa di non fumare, e, a furia di volontà, c' era riuscito. Un mattino, aprì il giornale, lesse che era esplosa la prima bomba H, s' informò dei suoi mirabili effetti, ed entrò senza indugio in una tabaccheria.
Certo, a volte fingevo di prendere la vita sul serio. Ma presto la serietà mi appariva in tutta la sua frivolezza, e mi limitavo a continuare a recitare la mia parte meglio che potevo. Giocavo ad essere efficiente, intelligente, virtuoso, civile, indignato, indulgente, solidale, edificante... In breve, smetto, lei ha già capito che ero come gli Olandesi, che ci sono senza esserci: ero tanto più assente quanto più posto occupavo. Sono stato veramente sincero ed entusiasta solo quando facevo dello sport, e, al reggimento, quando recitavo in commedie che rappresentavamo per nostro piacere. In entrambi i casi, c' era una regola del gioco che non era seria, ma che ci si divertiva a prendere sul serio. Anche adesso, gli incontri domenicali in uno stadio straripante di folla, e il teatro, che ho amato con passione assoluta, sono i soli luoghi al mondo in cui mi senta innocente."
(Albert Camus, La caduta)

Friedrich-Viandante sul mare di nebbia, 1818, Amburgo, Kunsthalle



La Storia, il mondo, si son fatti sempre ingannare dai falsi profeti. Confessare le proprie doppiezze, presentare entrambi i lati del volto di Giano, non basta a rendere l' innocenza, così come ritenere che "tutti gli uomini siano colpevoli" non minimizza l' entità delle eventuali sedicenti colpe di cui si è gravati.
Il falso profeta grida nel deserto rifiutandosi di uscirne e forse c' è più abiezione nel percorso di chi accorpa in sé il giudice ed il penitente che in chi, di fatto, rimane a vivere una condizione morale forse pure oggettivamente ripugnante.

Che noia, lo so, che noia, provare a trovare un po' di verità.




mercoledì 4 maggio 2011

Hurt

E’ spiazzante, pur vivendo, sentirsi così spesso sbigottiti dalla propria stessa capacità di perseverare a farlo: equivale a guardarsi in uno specchio che rimanda un’ immagine di te a metà nitida e chiara ed a metà fumosa e misteriosa.
“Specchio specchio delle mie brame, chi è la più infelice del reame?”

Eppure succede, presumo, anche ad altri, e forse più frequentemente di quanto io stessa non riesca ad immaginare ed a credere.
Dev’ essere questo il peggiore dei peccati mortali: non avvedersi del proprio narcisismo, mentre si biasima quello altrui, tendendo sempre a ritenersi originali e preziosissimi, nobilitati da un’ afflato di solitudine che retaggi romantici vorrebbero elettiva, e invece, spesso, la vita che tocca in sorte non è che il segno di una disgraziata avventura umana –una fra le infinite possibili-, indotta da talmente tante circostanze esterne e fagocitanti e così poco eroicamente scelta, da aggiungere al danno del dolore la beffa.

Nei periodi di risacca di questo mio contorto percorso mi son detta, sprezzante e con grande odio verso me stessa: “Hai sbagliato tutto, non fai che sbagliare”. Ma so anche che il “tutto” che è incappato nella mia strada ha, a sua volta, “sbagliato”.
Ce n’ è abbastanza per confutare quantomeno il giudizio negativo di Spinoza, laddove sentenzia che l’ umiltà non sia affatto una virtù, ma una ‘tristezza’ derivante dal fatto che l’ uomo considera la sua impotenza. (Etica, 53-54)
A me parrebbe che -a considerare razionalmente l’ oggettività di molti accadimenti in una vita umana e constatato anche che oggi meno di ieri è in nostra facoltà determinare completamente la nostra esistenza attraverso scelte virtuose-, laddove non sia un sentimento di umiltà, generalizzata, a farci accettare i limiti di ragione e fiducia in un progresso illimitato dell’ uomo si rischi un’ esplosione di collera indifferenziata verso il “destino”, Dio o la Natura, od un troppo allettante ed insistente pensiero di auto-soppressione.

E così mi sovvengono Plotino e Porfirio.
L’ esortazione del filosofo all’ amato discepolo disperato - tanto più alta e nobile quanto proveniente, com’è noto, da un uomo che di sventura subìta dalla natura aveva fatto, nel corso di una breve esistenza, profonda esperienza-, mi fa avvertire l’ enorme importanza dei buoni maestri nella vita, e della loro coerenza militante.
Non abbiamo bisogno soltanto dell’ indignazione, né della denuncia, né della ribellione, né del facile sarcasmo.
Ci vogliono altre due cose, per sopravvivere: gli amici ed un intimo senso dell’ animo.

“ […]
In ultimo, Porfirio mio, , le molestie e i mali della vita, benché molti e continui, pur quando, come in te oggi si verifica, non hanno luogo infortuni e calamità straordinarie, o dolori acerbi del corpo; non sono malagevoli da tollerare; massime ad uomo saggio e forte, come tu sei. E la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l’ uomo, in quanto a se, non dovrebbe esser molto sollecito né di ritenerla né di lasciarla. Perciò, senza voler ponderare la cosa troppo curiosamente, per ogni lieve causa che se gli afferisca di appigliarsi piuttosto a quella prima parte che a questa, non dovrà ricusare di farlo. E pregatone da un amico, perché non avrebbe a compiacergliene? Ora io ti prego caramente, Porfirio mio, per la memoria degli anni che fin qui è durata l’ amicizia nostra, lascia cotesto pensiero; non voler essere cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni che ti amano con tutta l’ anima; a me che non ho persona più cara, né compagnia più dolce. Vogli piuttosto aiutarci a sofferir la vita, che così, senz’ altro pensiero di noi, metterci in abbandono. Viviamo, Porfirio mio e confortiamoci insieme: […]”

(G. Leopardi, Dialogo di Plotino e Porfirio)


lunedì 2 maggio 2011

Salvare la bellezza

" Nel suo 'Diario di Siberia', Ernst Dwinger parla di quel sottotenente tedesco che, prigioniero da anni in un campo ove regnavano il freddo e la fame, s' era costruito, con tasti di legno, un piano silenzioso. Là, nell' infoltirsi della miseria, in mezzo a una turba cenciosa, componeva una strana musica che era il solo ad udire. Così, gettati nell' inferno, misteriose melodie e immagini crudeli della bellezza fuggita ci arrecherebbero sempre, in mezzo al delitto e alla pazzia, l' eco di quell' insurrezione armoniosa che attesta lungo i secoli la grandezza umana.
Ma l' inferno ha un tempo solo, la vita un giorno ricomincia. La storia ha forse fine; non è tuttavia nostro compito terminarla ma crearla, a immagine di quello che ormai sappiamo di essere vero. L' arte, almeno, ci insegna che l' uomo non si riduce alla sola storia e che egli trova anche una ragione di essere nell' ordine della natura. Per lui, il gran Pan non è morto. La sua rivolta  più istintiva, nell' affermare il valore, la dignità comune a tutti, al tempo stesso rivendica ostinatamente, per appagare la sua fame d' unità, una parte intatta del reale che ha nome bellezza.
[...]
La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei. La sua norma, che nell' atto stesso di contestare il reale gli conferisce unità, è anche quella della rivolta. Si può, eternamente,  rifiutare l' ingiustizia senza cessare di salutare la natura dell' uomo e la bellezza del mondo? La nostra risposta è sì. Questa morale, mai sottomessa, e ad un tempo fedele, è in ogni caso la sola a rischiarare il cammino di una rivoluzione veramente realista. Mantenendo la bellezza, prepariamo quel giorno di rinascita in cui la civiltà metterà al centro delle sue riflessioni, lungi dai princìpi formali o dai valori sviliti dalla storia, quella virtù viva che fonda la comune dignità del mondo e dell' uomo, e che dobbiamo ora definire di fronte a un mondo che la insulta."

(Albert Camus, L' Uomo in rivolta)



La storia può essere rifiutata, anche con il legittimo disgusto dell' innocente, ma non esiste nichilismo in grado di contestare l' inoppugnabilità della bellezza del mondo.
Bisogna, però, abbandonarvisi, come ad una religione, come un fanciullo alla madre.
Questo fornisce l' alibi per mantenersi vivi.