venerdì 27 maggio 2011

Liberistiche schiavitù.

"L' essere che non può sopportare di pensare né al passato né al futuro, è abbassato alla materia" (S. Weil, Quaderno V)

Rassegnato. Inerte. Come materia.
Non sia mai, mai. Siamo umani, non sia mai.

E perché non dovrebbe sopportarlo? Perché il suo passato è atroce, o difficile; perché ha una terribile sequenza di grani di rosario, che scorrono sotto gli occhi, che conta e riconta, ciascuno temprato nel dolore, nel malessere, nella povertà, nella sofferenza, nella mortificazione di rapporti deludenti, un po' miserabili, sempre insufficienti a sedare un' atavica fame sentimentale che rischia di divorare l' anima, tant' è antica ed enorme: ecco, dimenticarlo, dovrebbe, o domarlo, come se fosse una feroce fiera della più sperduta e cupa delle foreste. Ed, in più, perché ha perso il futuro. Nessuna sventura può essere tollerata senza la fievole luce della speranza, senza il moccolo baluginante del futuro.
Un moccolo di futuro.

" Non si può immaginare  che la sventura non nobiliti. Di fatto, quando si pensa ad uno sventurato, si pensa alla sua sventura. Ma lo sventurato non pensa alla sua sventura, la sua anima è totalmente riempita dalla brama di un qualunque, sia pur infimo, sollievo."  (S. Weil, Quaderno V)

Sopportare la sventura comporta la ricerca del pane soprannaturale.
Ma io non credo nel Dio che descrivono i prelati: è un Dio incomprensibile ed indifferente, la cui più intollerabile contraddizione sta nel concedere favoritismi a chi si umilia e si prostra, dopo avergli inspiegabilmente dato l' opzione della scelta, della ragione, del pensiero.  (Ah, già, il libero arbitrio)
Io voglio avere soltanto  gli umani e gli animali mortali, accanto: non desidero la Noia eterna né  l' eterna beatitudine interrotta da paradisiaci sbadigli. Ho il mio corpo, i miei sensi, il mio pensiero: loro basterebbero a compiere la Vita fino in fondo. Basterebbe, mille volte, a dar vita al più roseo dei futuri.

"Coloro a cui era stata distrutta la città e che venivano condotti in schiavitù non avevano più né passato né futuro: di quale oggetto potevano riempire il loro pensiero?
Di menzogne e delle più infime, delle brame più pietose, pronti a rischiare la crocifissione per rubare un pollo più che un tempo la morte per difendere la loro città.
[...]
Altrimenti, bisognava poter sopportare il 'vuoto' nel pensiero." (S. Weil, ibid.)

Si rischia di diventar cattivi, quando nessuno sa più compiangere lo schiavo.
Egli può, allora, diffondere il male, far soffrire per cattiveria, dato che gli era impossibile far soffrire altri per pietà.
Ma poi, mano a mano che si scende il livello della sventura, si rinuncia finanche a diffondere almeno il male al di fuori di sé, ed essa rende docili, anche se tale docilità non è poi diversa dalla morte.

***

Ho sentito un operaio della Fincantieri, iersera, parlare della macchia di vergogna che il licenziamento  imprime nello spirito di un uomo: un padre che afferma che, in un simile stato, non potrebbe rimproverare il figlio malavitoso e delinquente, ed un altro che, dopo trent' anni di lavoro - "sono un carpentiere, ed è la cosa che so far meglio di ogni altra, a cinquant' anni e qui, in questo mezzogiorno in cui non c' è più nulla, non abbiamo che la nostra fabbrica"- promette di ammazzarsi, ché tanto la dignità è perduta.

Il liberismo ha fallito, nel più squallido dei modi, il comunismo anche. Il peccato di entrambi, la voracità.

Noi uomini non sappiamo vivere.

2 commenti:

  1. L' essere che non può sopportare di pensare né al passato né al futuro, è abbassato alla materia" (S. Weil, Quaderno V)

    io direi:
    L' essere che non può sopportare di pensare né al passato né al futuro, è limitato.

    è bellissima la frase di Camus che tieni alla destra del tuo blog, in alto...
    fa capire come sia inscindibile la dualità umana.

    Buon week end mia cara Morena
    carla

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  2. Grazie, Carla, un buon fine settimana anche a te.

    Vedi: io credo che l' operazione più ardua, nei rapporti infraumani, rimanga quella di comprendere -con esattezza, almeno, se non con empatia- la situazione dell' altro. Siamo inesorabilmente portati a tradurre le vite altrui nel nostro codice personale, vale a dire in dipendenza dell' esperienza che abbiamo maturato nella nostra vita personale. Nessun appartenente alla classe media o abbiente potrà mai immedesimarsi davvero in un diseredato, in un disgraziato, in un paria. Vale anche per i sentimenti; vale per qualsiasi altra cosa.
    Non sopportare di pensare al passato, tant' è doloroso o infamante, perdere il diritto a sperare nel futuro, non è una scelta, né una colpa, ma comporta la discesa ad un livello più basso di quello umano: è furto di umanità.
    A meno che non si sia così grandi da sopportare il vuoto, ci dice Simone Weil...

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