lunedì 20 giugno 2011

Far finta di essere sana

Non credo al Destino più di quanto non creda a Babbo Natale, agli ufo, alle profezie dei Maja (per quanto, in certe circostanze, mi siano apparse perfino logiche), alla jella, al Bene e al Male, e so che la felicità altro non è che il piacere senza rimorso.

Perciò, quando risulta evidente che ogni cosa, in una vita, tende al negativo o al perennemente ostile, o al fallimento, provo a capire dove stia il vizio occulto, l' errore umano, la scelta sbagliata, la colpa, attribuibili all' artefice e protagonista di quella determinata vita.
Il presupposto di tale asserzione era (e sottolineo era) la certezza  che, in un' esistenza, data la nostra condanna alla libertà, ogni evento o conseguenza devono essere fatti risalire alla funzione razionale di scelta che costituisce l' elemento caratteristico della specie.

Ciononostante, dato il carattere aleatorio ed imprevedibile del caso, può capitare che per un' eccezionale combinazione tutti gli aspetti di una vita tendano straordinariamente al negativo, nonostante il più attento e disciplinato uso della propria buonafede.

Da qui, tutta uno strascico di eventi talvolta grandiosi: la letteratura classica mondiale, le vette della poesia, le grandi rivoluzioni della storia, la Musica colta, ed i suicidi eccellenti e non.

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Può essere, per esempio,  che qualcuno nasca con un' orribile tara -che so, di origine genetica od altro- come successe al Leopardi, affetto da una gravissima forma di tubercolosi ossea, che suo malgrado  influenzò la sua vita rendendolo pertanto  consapevole della sconfinità capacità di soffrire dell' uomo nell' arco di una anche breve esistenza. Per una qualche -di nuovo- imperscrutabile ed inspiegabile combinazione egli fu purtuttavia dotato anche di un' immensa forza vitale, di un' intelligenza superiore, della capacità di osservazione microscopica della vita, e del talento poetico.
Ma si trattava del Leopardi, non dell' uomo o della donna della strada.

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Il dramma dell' accanimento del caso, quindi, riguarda soltanto i signori nessuno, coloro cioè che non han nulla di geniale, ed il cui dono celeste è la sola sfiga impersonale, ma bizzarra.

Perdonate la presunzione, fratelli nessuno, voi che - come me, d' altronde- non avete avuto  la ventura della dotazione di due gobbe ed uno straordinario talento a bilanciare le bizzarrie del caso, ma io ne so qualcosa, anzi, di più, io ne sono il paradigma, anche se non è divertente ammetterlo. I miei casi, vi assicuro, sono ben strani ed ostili.

La mia vita è lo sferragliare di un complicatissimo gioco di rotelline dentate interconnesse, di sensibilità troppo elevata, che l' irrilevante pagliuzza di turno manda regolarmente in tilt bloccando l' intero meccanismo. E ad aggiungere al danno la beffa sta l' osservazione -certo oggettivamente limitata, siamo intesi, date le possibilità consentite dalla mio personale angolo prospettico di visuale- di come, invece, quelle altrui funzionino più o meno regolarmente. Non ho mai scoperto il loro segreto, anche se ho provato l' azzardo di qualche ipotesi.

Il blocco del meccanismo, lo ammetto, costituisce sempre difetto di progettazione e costruzione.

Si deve allora -mi dico- studiare ancora il tutto, ispezionare, sezione per sezione, il disegno preparatorio, decidere anche -perché no- se, tra gli ineludibili difetti di fabbricazione, ve ne sia qualcuno che possa essere lasciato senza compromettere, di massima, il risultato del marchingegno.

Insomma, sopravvivere, o, come mi ha insegnato Albert, almeno resistere un altro po'.

Ma se considero alcuni dettagli io precipito a causa delle vertigini che mi reca la constatazione di quali e quanti possano essere i termini variabili della mia esistenza e di come, soprattutto, le variabili siano sempre negative.


Perché, vedete, io potrei, per esempio, avere ereditato in circostanze tristissime ed inesorabili, quindi obtorto collo, un gatto. Dunque: non l' ho scelto, ma il mio senso di pietà mi induce a prendermene cura perché provo amore per gli animali.
Soltanto che il gatto è affetto da una sua insospettata sindrome e per i primi due anni di coesistenza io passo la mia vita domestica a rincorrere i suoi spostamenti in casa e lavare pavimenti e tappeti e cose, nonché a stazionare in pianta quasi stabile presso l' ambulatorio di un veterinario incompetente che però mi subissa di parcelle da me regolarmente pagate (ed io non sono né ricca né mediamente abbiente), prima che io comprenda che non sa fare il suo lavoro.
Dite un po' voi se non c' è qui un affollamento di casi avversi: eredità non desiderata, malattia dell' ereditato, disonestà etico-professionale del medico, ansia da situazione economica delicata...
Che poi la storia si ripete. Arriva Neve, la cucciola, e riparte la giostra. Può davvero essere che tutto ritorna?
Ma no, è un caso. Il caso.

Ma ancora.
Un figlio.
Non programmato, ma naturalmente accettato e poi adorato, come fan quasi tutte le madri.
Un figlio che merita tutto, come tutti i figli.
Non le cose, gli oggetti, orpelli ed aggeggi vari, ma soprattutto  la dedizione, la cura, il tempo, la presenza.
I miei, naturalmente.
In tempi non sospetti tra il mio lavoro fuori casa, il trasporto del fagottino urlante su e giù in asilo nido, la corsa frenetica stritolata in orari e scadenze, la frustrazione depressa conseguente, ho scelto -in accordo pieno con l' altro genitore- le dimissioni.
Bene: questo è esercizio di arbitrio, libero (in qualche senso non assoluto).
Ma con l' adolescenza Edipo manifesta il bisogno di sbarazzarsi della madre e lo fa non come capita a tutti gli altri nessuno, ma con grande violenza ed aggressività, fino a costringerla ad andarsene.
E' la strana storia del lupo della steppa, condannato dalla sua stessa natura all' esilio?

Oh, non lo so. Credevo di non credere al destino...  E' sempre il caso.

E poi, ancora, altre storie. Milleuno. Troppe da raccontare, ho già annoiato.

E' così che non mi resta che un' escamotage: far finta, fortissimamente fingere, d' essere sana.


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