sabato 12 novembre 2011

Soledad



Dev' essere per via di quella nota  e semplice osservazione secondo la quale "il flauto va in cerca del suonatore che suona il flauto" (R. Tagore) che tengo in vita questo mio blog.

D' altro canto, essendomi totalmente indifferenti altri eventuali fini (che però temo rivestano enorme importanza per la quasi generalità dei blogger, come la visibilità o il numero di seguaci), la mia sola velleità rimane quella di conoscere qualche sparuta anima bella ed ogni tanto consolarmene.

Naturalmente si tratterebbe di ragioni assolutamente involontarie, un po' misteriose, intestine, ma che, se non altro, testimoniano come io mi senta un individuo tutt' altro che autosufficiente e compiuto.
E' altresì vero che la faccenda si complica orribilmente quando scopro d' ospitare in me entrambe le attitudini, almeno potenzialmente.
Potrei essere flauto e poi anche suonatrice di flauto; ma in nessun modo potrei suonarmi da sola. E' questione di reciprocità, di dialogo armonico: ci si deve per forza suonare a vicenda, sulla stessa lunghezza d' onda.

Quel che è davvero arduo è sapere con certezza quando tale alchimia sia effettiva, indubbiamente vera.
Ne deriva che è forse impossibile  crederlo vero fino in fondo.
E ciò succede inevitabilmente agli uomini, una volta svezzati totalmente. e quando, cadute le illusioni, digerite e metabolizzate le disillusioni,  si ritrovano a trascinarsi sulla strada del loro percorso con i piedi sanguinanti e nessuna meta ancora visibile all' orizzonte.
Questo è il colossale collo di bottiglia esistenziale.

Perciò, questa ballata di Violeta Parra, con la dolcezza straziante di quel flauto che pare un pianto ancestrale che proviene e riconduce alla notte dell' Uomo,  è dedicata a coloro che sanno commuoversene, perché la leggono dal mio stesso spartito,  lo conoscono a menadito, ed hanno capito che alla solidarietà umana nessuno può ormai più né crederci, né totalmente smettere di sperarci.



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