mercoledì 14 dicembre 2011

Amori da morire -2-

Ad ogni svolta d' esistenza  rivelatasi fallimentare lei s' inferociva sempre più con sé stessa.
Se i più potevano confondere il suo stoicismo esterno con una forma di imperturbabilità e controllo vicino alla freddezza, la verità era che, in lei, le delusioni  scavavano lacerazioni dolorose e permanenti, creando strati e strati di cicatrici sedimentate, tanto che ella aveva spesso l' impressione che simile accumulo potesse trasparire all' esterno, come tracimando, e darle un aspetto grottesco,  mostruoso e ben visibile agli altri.
Nei momenti più calanti aveva affinato una tecnica straordinariamente efficace per contrastare questa piccola psicosi: s' immaginava così intensamente invisibile, per la strada, nei locali, ovunque vi fosse gente, da tranquillizzarsi tra sé e sé: "Non mi vedono,  non possono vedere l' oscenità della mia catasta di presuntuose illusioni sconfessate, di imperdonabili errori di valutazione, di amori finiti, non dimenticati ma giustiziati sull' altare della ricerca della perfezione sentimentale, di velleitarie e reiterate speranze."

E il livore verso sé stessa -lei lo sentiva-, rischiava di sfuggire al controllo, e propagarsi agli altri, rendendola vittima di pregiudizi ingiusti.

Allora decise di non amare per un po', di sospendere la sua ansia di tenerezza e la rincorsa delle impossibili affinità elettive al chiodo,  e non ferire, non ferirsi, non riprovarci.
Almeno per un po' sfuggire alle passioni, tentare di approcciare la vita in forzata dissociazione intelletto-cuore. Ci sono le cose da fare, le imprese da tentare, la creatività da sviluppare, una mèta a scelta da rincorrere, magari pure ammantata di un alone di nobiltà. E ci sono lo studio, la lettura, la musica, i cani, i gatti, i pettirossi. C' è tanto da conoscere, ancora meraviglia, mistero, immaginazione, personalità eccellenti...  

Quale ridicolo proposito.
Ingenuamente ridicolo, pur se in purezza di intenzioni.
L' umano è animale sociale, sostanzialmente tendente verso i propri simili. In fondo è sociale perfino lo stilita che si mortifica sulla sommità della colonna: la scelta di allontanarsi dai suoi cospecifici è sempre frutto di una reazione nei loro confronti.
E non possiamo che vivere con il corpo, trasmettere pensiero mediante il corpo, parlare, guardare, sentire, dare e prendere che con il corpo: rinunciarvi è totalmente impossibile, porta all' alienazione.
Non è sublimandoci che eviteremo di soffrire e, pure non intenzionalmente, dare sofferenza: ci aggredirà sempre, spuntando fulmineamente da un angolo, l' irrefrenabile bisogno di verificarci in vita, di aggrapparci alla materia per non precipitare nel nulla,  di toccare e lasciar toccare questa nostra carne caduca e mortale del cui destino, ad ogni respiro, abbiamo inesorabile e meravigliosamente triste consapevolezza. Ma la difficoltà sta nella conquista della giusta misura,  che per lei -evidentemente- era quella eroica ed onesta. Onesta con sé stessa, priva di infingimenti o tortuosi percorsi interiori su basi di vischiosa malafede.

Due anni di coercitiva apnea sentimentale.
Procrastinare alfine, e fin quanto occorresse, quell' ingorda sua fame d' immenso, quella sua velleitaria pretesa di farsi dèa, toccare il sublime, avvicinarsi alla perfezione, e poi dare e avere ad un altro senza tuttavia perdere né rapinare niente: questo, voleva.
Voleva dimenticare il ripugnante aspetto mercantile dei rapporti umani. Voleva imporsi l' indifferenza ed essere glaciale, così, forse, lo schifo -da congelato-, si sarebbe frantumato in mille pezzi, e poi, finalmente, dissolto. 
Ecco l' idea, per niente geniale, e neppure completamente originale: l' attesa dell' assoluto, oppure niente.
Intanto... provare a  tornare selvaggi.




Riuscì solo a scartare lievemente di lato, se pur con estrema concentrazione ed applicazione, ma non eludersi, né elidersi totalmente.
Ciò che lei era, in fondo, costituiva la vera trappola: essere sé stessa rimaneva comunque il suo vero 'destino'
La disponibilità verso il prossimo -sua caratteristica-, l' interesse per le storie, la vita, i fatti, le idee della gente che incontrava, ma anche -molto più egoisticamente- il piacere che le aveva sempre dato stare vicino ai suoi simili nelle ordinarie situazioni dell' esistenza (lo scambio di gentilezza al bar prendendo un caffé, un estemporaneo  sorriso senza alcuna conseguenza né intenzione, la conversazione, l' uscita in compagnia al cinema, una cena, una mostra, qualsiasi occasione di incontro non sospetta...) a lei erano sempre risultate fluide e naturali, nonostante l' interpretazione altrui, talvolta morbosa. Ma pare che a quest' ultimo fatto non esista proprio alternativa.

Nonostante -dicevo- ciò che si era prefissata, la sua natura era immodificabile ed implacabile.
Come quella di tutti, perché
Nessuno cambia,
Ed ognuno è solo
Punto.
Così si rese conto ben presto che il male non stava affatto nella passione che, travolgendola, l' aveva indotta a vedere delicatezza laddove esisteva soltanto fragilità, ed amore dove invece non c' era che ignavia , ma bensì nell' auto imposizione di un cinismo che non le poteva, in alcun modo, appartenere.

Per un po' volle credere che qualcuno ambisse alla sua vicinanza perché vedeva bella la sua anima, ma non ci volle molto ad ammettere onestamente che era davvero triste raccontarsi simile favola: gli altri non vedono assolutamente nulla.
Imparò che un uomo non riesce a restarti  amico se lo respingi mentre lui desidera anche il tuo corpo, e non aspirerà mai alla tua amicizia se non ti troverà anche attraente,  ed imparò che, pur di non morire di una solitudine più ampia, universale, cosmica, permetterai, tu, donna, di farti ridurre ad uno strumento di effimero piacere.
Capì che era a questo, che si riduceva l' essere selvaggi.
Capì che le affinità elettive sono un sogno. Ma non smettere di sognarle era il modo meno infamante per dare un senso alla sua vita.

(segue, forse...)

4 commenti:

  1. C'è una frase che mi piace, molto: "Felice pregiudizio è quello che sparge un balsamo sui dolori della vita". Nelle ultime (forse) due righe io leggo questo.
    Ciao

    RispondiElimina
  2. Ciao giovanni. Sì, com' è bella, grazie.
    Un po' di clemenza, verso noi stessi; non tanto alibi, ma dignitosa compassione verso questo inesorabile ed inevitabile scivolare e rialzarsi, e poi, ancora, scivolare...

    RispondiElimina
  3. Allora decise di non amare per un po'...
    A me riesce di deviare nel greto carsico il fiume del sentimento, lo nascondo bene se voglio, ma non mi fa affatto bene e non riesco affatto a inaridire la fonte.
    Non so se sia possibile smettere di amare, magari soltanto interromperne le manifestazioni esterne. Magari anche di smettere effettivamente per un po', appunto in apnea, erigendo una diga da castori - ma sarebbe meglio parlare di talpe castorine, o di castori talposi visto che siamo nelle grotte :o)
    Ma la sorgente non si riesce a chiuderla come un rubinetto. E se si riesce si rischia di morire disidratati dal di dentro, svuotati.
    Per fortuna penso sia tecnicamente impossibile per un essere umano, degno di tal aggettivo.
    Abbiamo bisogno di respirare. Esiste il debito d'ossigeno. Esiste il debito di sentimento.
    Mi sembra un po' come cercare di vivere senza nutrirsi. Per quanto la silhouette si faccia anoressica, alla fine rimane sempre pur anche una semplice linea, oltre la quale non si può sottrarsi ulteriormente, in attesa di un ritorno bulimico e prepotente del sentimento.
    Altrimenti si muore, forse nel fisico, certamente nell'anima.

    Ti confido una roba buffa, al limite dell'autolesionismo tafazziano.
    Le mie poche amiche vere (non le frequentazioni alle quali do solo del tu apparente) ai miei occhi sono per forza almeno un minino attraenti, hanno una eleganza nella personalità che genera la cosmesi sufficiente per il corpo e l'andatura. Se una è proprio bella nel corpo, mi rifaccio anche gli occhi, per fortuna.
    In ogni caso... stringo che sono sempre chiacchierone e poi Giovanni mi dileggia.
    Sarei ipocrita a negare le fisiologiche pulsioni sessuali (cupido non conta qua). Il fatto è che io, all'occorrenza, glielo dico: "Ovvio che se mi salti nel letto io non scappo. Io sono un maschio e tu un bell... ehm... un non ripugnante esemplare di femmina. Tu sei fidanzata o quant'altro, e la belva qua sotto risponde ai miei comandi. E con te l'amicizia è il piacere principale, l'ormone può mettersi comodo. Sappi che c'è, come è naturale che ci sia. All'occorrenza stiamo qua, basta che fai un fischio."
    :oD

    Clap clap clap!
    (onomatopeico applauso per il tuo scritto)

    RispondiElimina
  4. @ Kisciotte

    Parte prima: sei in sintonia perfetta con lei. L' idea di marciare con il cuore al minimo è stato un goffo tentativo di arginare i futuri e certi dolori che toccano ai puristi del suo stampo, ai sognatori incalliti ed un pochino ciechi, ed anche leggermente velleitari. Lei, però, a sua parziale difesa, lo capì presto e si appropinquò a desistere dall' intento. Ciò che è certo è che ama la vita, profondamente, e che la gestirà tutta: illusioni, disillusioni, felicità e dolore, in blocco.

    Parte seconda:
    Averlo avuto, averlo (!), un amico come te, con le priorità che dici...

    P.S.: vedrai che stavolta Giovanni si commuove pure...

    Grazie, sei molto caro.

    RispondiElimina