mercoledì 21 dicembre 2011

Meità.

Ho da tempo imparato a non aspettarmi alcuna solidità e permanenza  di pensiero né vera affidabilità dai colleghi umani.
(Ciò è molto, molto triste -per me-, ma non si tratta di una critica: noi tutti -è evidente- abbiamo una seria difficoltà ad essere, data questa fatale e strutturale condanna a pensarci nel mentre pensiamo d' esistere. Ma focalizzare il momento esatto in cui stiamo esistendo non ci riesce -è evidente-, giacchè quel momento, nel mentre tentiamo di metterlo a fuoco, è bell' e andato.)
Inoltre è così anche a causa dell' alta posizione conquistata sulla scala evolutiva, che ci ha resi nel contempo sì tanto potenti e velleitari senza peraltro cancellare anche fragilità, aleatorietà ed umoralità, lasciandoci in grosso e spesso irrisolto conflitto tra la nostra dotazione razionale e la nostra necessità immaginifica.
Se ci sono tipi a me totalmente invisi, d' altro canto, sono i puramente logici, i logici a tutti i costi ed in ogni situazione. Essi sono, indifferentemente, sub od iper umani, in diverse sfumature magari, e spesso molto ben camuffati da fautori del buon senso.
Imperturbabili, freddi come ghiaccio, duri come marmo: praticamente morti dentro.

*
Davvero, se solo sapeste quanto vi amo, invece, umani immersi in un improbabile altrove, risucchiati in un vortice di sentimenti contrastanti alla ricerca dell' impossibile equilibrio tra idee, sogni ed azione, eternamente tentati dalla soddisfazione dell' ego ed in colpa per la bassezza di quel desiderio pur veniale, proiettati in una visione cosmica delle cose e rinserrati in una stanzuccia con finestrella sbarrata... simili e fratelli, potenziali amici, numero esiguo ed in inesorabile estinzione, disperati pur in grado di sorridere...
Ma che farsene, di questo lato amore, se i suoni delle parole che avremmo da dirci, vis a vis, si ingarbugliano in gola e si fanno groppo, e non c' è modo di farle uscire, ed in loro vece lasciamo dire qualche timido ed impacciato gesto, qualche impercettibile guizzo di muscolo facciale ...  

*

Su tutto, c' è il problema temporale. La spina del tempo, rispetto al quale non si riesce  a rapportarsi, e che è punto essenziale, giacché nessun cruccio esistenziale umano trova sviluppo e soluzione se non si può, in qualche modo, inquadrarlo temporalmente.

Gli è che:
"Ogni coscienza è coscienza 'di' qualche cosa." (Husserl) (*)

Si pensa, in genere, di aver coscienza d' essere stati almeno nel proprio passato: cioè di ciò che è certamente verificato. Si ritiene di sapere, ad esempio, chi era, in quel dato momento trascorso, una data persona, magari proprio noi stessi. Non raramente, il passato, letteralmente, tallona l' individuo nel suo stesso presente. Ma poi sovviene il ragionevole dubbio che non sia così.
Perché è pur anche vero che:

"Se la concezione di Cartesio e quella di Bergson devono essere parimenti rifiutate, è perché cadono tutte e due nel medesimo vizio.

[Bergson: un avvenimento del passato non cessa di esistere, ma 'sta', rimane al suo posto, in quella data, per l' eternità, attraverso il ricordo interpenetra il presente, perché la durata è molteplicità; Cartesio: il passato non è più, si annulla,  e tutto è soltanto presente. n.d. r.]

Annullando il passato o conservandogli l' esistenza di un dio lare, questi autori hanno considerato 'a parte' la sua sorte; isolandolo dal presente; e quale che fosse la loro concezione della coscienza, le hanno attribuito l' esistenza dell' in-sé, l' hanno considerata come ciò che è. Non vi è quindi ragione di meravigliarsi del fatto che non siano riusciti a ricollegare il passato al presente perché il presente così concepito respingerà il passato con tutte le forze. Se avessero considerato il fenomeno temporale nella sua totalità, avrebbero visto che il 'mio' passato è anzitutto mio, cioè esiste in funzione di un certo essere che io 'sono'. Il passato non è il 'niente', non è neppure il presente, ma deriva dalla stessa fonte, essendo legato ad un certo presente ed a un certo futuro. Questa 'meità' di cui parla Claperède, non è una sfumatura soggettiva che venga a infrangere il ricordo: è un rapporto ontologico che unisce il passato al presente. Il mio passato non appare mai nell' isolamento del suo 'essere passato', sarebbe perfino assurdo pensare che potesse 'esistere' come tale: è originariamente passato 'di questo' presente. " (*)
 
 
Il mio passato mi cammina a fianco perché non è qualcosa che ho, ma che sono.
E' la ragione -scopro- per cui non solo non dimentico nulla e più precisamente nessuno, ma anche per cui pretendo analoga consapevolezza negli altri che a me si rapportano.
Ciò che fai, ciò che sei, ciò che mi dici, ciò che di me vuoi o vorrai (e, specularmente, vale per me) ha così carattere permanente, di eterna valenza, a prescindere dagli sviluppi degli eventi e delle scelte materiali.
Com' è corroborante capirlo. Pur se il senso sarà compiuto con la morte.
 
 
" E' una massima riconosciuta da lungo tempo fra gli uomini, che non ci si può pronunciare sulla vita dei mortali e dire se essa è stata felice o infelice, prima della loro morte." (Sofocle) (*)
"La morte trasforma la vita in destino" (Malraux) (*)


 


Con affetto, ai miei preziosi elettivi lettori.
Buona sempiterna rinascita.


(* Jean Paul Sartre, L' essere e il nulla)

4 commenti:

  1. Volevo già chiedertelo nei post precedenti.
    Qua in certi passaggi trasuda, secondo me, come livello di percezione e riflessione.
    Ci saranno certamente anche molti altri apporti che non so individuare, non avendo io letto granché.
    Tu hai letto "Il libro dell'inquietudine" di Pessoa?

    L'inizio con il pensiero che cerca vanamente di catturare l'esistenza, potrebbe presentarsi ai nastri di partenza con Achille che cerca di raggiungere la tartaruga.

    Rinuncio alla preziosità, mi arrogo il diritto di elettività e ciò mi mette nella situazione di doverti ricambiare i graditi auguri in stile highlander.

    Ufff, in che pasticcio mi sono ficcato.
    Dunque, vediamo.
    'spetta che mi impegno.
    Trovato!
    Un fiore virtuale non posso regalartelo perché anche i sensi vogliono la loro parte.
    Un fiorino neppure, che non ha più corso e un furgone costa troppo.
    Un fioretto!
    Ti regalo un fioretto.
    Per il 2012 prometto di essere meno moscerino.
    Di più!

    :o)

    (faccina con naso pacioccone equivalente ad abbozzo guizzato di muscolatura facciale)

    Buone feste ai sentimenti.
    E buonanotte al rigor di logica.

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  2. @ Kisciotte

    No, Cavaliere, non conosco molto bene Pessoa: sarà che girano troppi suoi aforismi ed io diffido sempre della propagazione un po' disimpegnata delle sintesi. Così succede che, per reazione probabilmente inconscia (e che ora, grazie a te, mi svelo), ne diserto le letture relative. Se pensi che sia un po' sciocca, sta cosa, non posso che convenirne: è una mia debolezza... :-)

    Che tu sia lettore prezioso lasciamelo sentenziare: non ti sfuggono lemmi né, men che meno, sfumature.
    Perciò, grazie e grazie.

    Nonché per il regalo, un'assoluta, squisita novità.

    A presto.

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  3. Ciao, sono ancora io.
    Ho letto per la seconda volta e ancora mi sorprende la densità del testo.
    Come una cioccolata calda.
    Corrobora proprio.
    D'accordo che c'è l'aggiunta di Sartre, però ci sei anche tu.
    Fai delle considerazioni sul passato che sono luminose. Addirittura non al fianco, ma dentro cammina il presente in ciascuno.
    Che ne siamo consapevoli o meno, ognuno è figlio della propria biografia.

    Ti riscrivo perché a me piace dare un segnale, è un mio bisogno, di aver letto una risposta in casa altrui. A me a tranci piace solo la pizza, le persone se riesco le mangio intere, o le bevo, sia le rosette che il mosto.
    L'uso d'aforismi è spesso un'ingannevole trompe l'oeil d'acculturamento e profondità d'animo.
    Avrei scommesso qualcosa che avessi letto quel romanzo di Pessoa.
    E' una raccolta di lettere e brani in realtà, l'unico testo che ho letto di lui. E per leggerlo, ho impiegato 15 mesi, dovendo lasciar decantare due pagine per volta, da quanto vi è distillata la sua anima. Chissà, magari un giorno lo leggerai. Io l'ho trovato portentoso, un giardino prensile, al tempo stesso lussureggiante e dimesso, di emozioni che s'aggrovigliano e si sbrogliano.

    Finisco con una confessione.
    Ti ho scoperta grazie alla blogroll di Giovanni.
    Per motivi della mia meità passata, non ho potuto dedicarmi, negli studi, alla letteratura come avrei voluto.
    Un poco mi arreca dolore -è difficile da trasmettere come sensazione- sostenere la lettura di frasi e pensieri così impregnati di genuinità letteraria.
    Sono tentato di distogliere lo sguardo per rivolgerlo altrove.
    Un conto è leggere Pessoa per i fatti miei, un altro è "colloquiare" con una persona che si esprime in questo modo.
    Insomma, io sono oggettivamente approssimativo e incompiuto. Mentre qua trovo una melodia.

    Il lettore non è prezioso come vorrebbe, l'autrice senz'altro di più. Almeno per me. Almeno in questa piccola stanzuccia chiamata "Galassia Malinconica" dove leggo con gratitudine, anche se ciò mi smuove un rimpianto che cammina dentro. E sempre camminerà.
    Come è umano che sia.

    Ci tenevo a esternarlo, non serve che mi rispondi, intanto so che la padrona di casa legge i commenti che riceve ;)
    Grazie a te. E buone cose.

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  4. Mi procurerò quel testo, domani: è improrogabile, a questo punto.

    Per il resto, una questione di stile m' invita al silenzio.
    Aggiungo soltanto che mi pare, il tuo, rimpianto immotivato, giacché se non fossimo tutti in questo o quello incompiuti, saremmo anche perfetti, non più uomini ma dèi.
    Ed io, non vorrei mai barattare questa carne dolente e gaudente con una sublime atarassia.

    Neppure io riesco ad accontentarmi dei ... tranci. Come siamo ingordi.

    Un sorriso.

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