mercoledì 23 maggio 2012

Cinquanta inverni

Abbandonare definitivamente la sindrome dello schiavo che idolatra i suoi propri tiranni , declamare con interiore stentorea voce il proprio incondizionato sì al veritiero sé stesso, lasciarsi alle spalle ogni appiglio trascendente, vedere il volto dell'altro contrapposto senza specchiarvisi: questo, per me, corrisponde alla ricerca di un'integrità che soddisfi la legittima aspirazione ad 'essere'.

Ma il desiderio non porta a nulla, se non ad una intollerabile consapevolezza di incolmabile solitudine: chi aspira ad amare la tua umanità non può prescindere da un codice interpretativo, cercherà similitudini, cercherà una chiave, ahimé, più volte clonata, dall'uso seriale, dovrà agire come il colonizzatore che estirpa la radice  a lui sospetta che non conosce  e pretenderà un solo frammento, una piccola zolla, del tuo sterminato giardino.

*
Più di cinquanta inverni, sferzati dall'implacabile vento, han fatto dell'Eden un'arida sassosa Itaca.
Verso sera la donna ed il cane, muti, contemplano le onde, sognando la primordiale liquida culla perduta.
*

Tornasse, almeno, romantico, il dolore.

1 commento:

  1. Nel libro dove Simone Perotti racconta la propria esperienza, tutt'ora in essere, oggi ho letto questa frase, venutagli in mente durante un inverno nella sua casa isolata tra le montagne.
    "Qui per giorni non avrei detto una parola, nessuno avrebbe bussato alla mia porta. Come sempre regnava il silenzio, la quiete, la meditazione come unica forma di comunicazione, verso l'interno."
    Effettivamente la totale comprensione verso l'esterno è forse un concetto solo ideale.

    belle le due righette finali
    bello il soffione
    bello il tocco di ciclamino
    fine dei complimenti

    Ciao ;)

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