venerdì 23 novembre 2012

Memorie dalla tana.

Delle tre una:
 
quello lì, magro ed alto, né giovane né vecchio, dai capelli brizzolati né lunghi né corti, né ricci né lisci, vestito di scuro, né nero né blue notte né grigio perla, solitario come un lupo della steppa né affamato né sazio; quello lì, dalla faccia né allegra né triste, che cammina lentamente in perfetta linea retta lungo gli spaziosi marciapiedi del Parco con un libro in mano, esattamente come l'immaginazione comune vuole immaginare il prete che legge il breviario in profonda concentrazione, che non s'avvede di nessuno e niente, non avverte la presenza dei suoi simili che lo incrociano e non si distrae né ad un abbaio di cane né ad una voce né al risuonar di passi, è di certo:
 
- veramente un prete, ma senza sottane, catturato totalmente dal suo medium con il dio: Bibbia, Talmud, Marx, Bakunin;
- un misantropo altezzoso e spocchioso, pieno di livore represso, farcito di intellettualismi preconfezionati, sinceramente persuaso della sua superiorità rispetto agli altri, tanto da considerarli invisibili, irrilevanti ed inesistenti;
- uno che sembra esserci ma non c'è più.

Vieni via, Neve: non scodinzolargli così, non offrirgli tanto gratuitamente lo splendore di quelle tue due perle nere d'occhi, ché probabilmente non merita in nessun modo il tuo affetto gioioso incondizionato. O non lo so. E poi non ti vede.

*
 
 

Devo confessare di averne abbastanza di un sacco di faccende: di quasi tutte le persone scostanti e sfuggenti che conosco ed anche di quelle che non conosco, di un sacco di parole mendaci, di cui ci si innamora in modo effimero nel pronunciarle, dei labili motivi per cui la gente usa soffrire e di come facilmente minimizzi i dolori degli altri.
Se non fosse che perfino quest'ultimo guizzo richiederebbe energie di cui sono ancora disperatamente in sofferenza, vorrei saper sparire idealmente, almeno di tanto in tanto, come il lettore misterioso camminante nel parco. E' davvero magistralmente bravo nel sottrarsi, nel non esserci per il mondo  purtuttavia essendoci, nell'emanare calma e lentezza: quasi lo eleggo a modello; come fa?

Magari quell'incedere così raccolto e discreto, che sconfessa ed umilia la nostra perenne velleità di presenziare nel mondo e dire -a tutti i costi declamare o parteggiare-, e schierarsi in una qualsiasi fazione con l'illusoria convinzione d'avere un'opinione sì da rendere ficcante la nostra personalità, è il sintomo di un raggiunto equilibrio, anche se non necessariamente felice, e, soprattutto, di una conciliazione con sé stessi.
Per questo sulle prime mi ha irritata: in realtà, se il suo stato corrispondesse a queste mie arbitrarie supposizioni, lo invidierei un po'.
Naturalmente sono soltanto fantasie, ché io se non sogno muoio.

Mi chiedo, però, se non sia esattamente questo il solo rifugio possibile all'oggettiva malattia, l'alienazione, di cui i più consapevoli soffrono.

E pensare che basterebbero un po' di coraggio e l'autentica attitudine ad amare senza meschine cautele ad illuminare le pareti delle nostre tane.

 

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