domenica 13 gennaio 2013

Quale Eden

Ora esco di qua: ho i piedi gelati, stamattina non arrivano clienti, quelle due signore che poco fa hanno suonato per chiedermi informazioni nel salutarmi mi hanno pure lasciato l'opuscoletto dei Testimoni di Geova causandomi una recrudescente fitta di disappunto, il senso dell'inesorabilità del tutto - come la dipendenza ad una visione favolistica dell'esistere -,  e la solita noia feroce.
Io sono una senza religione, non si vede? Non si vede da questa faccia ermetica, così tanto che alcune volte, la mattina, di fronte allo specchio mi dico: "Buongiorno, che inaspettata sorpresa incontrarla qui, come va, signora cara? A casa? Tutto bene?", prima di accorgermi che son io, quella là, e che non solo la casa non ce l'ho più, ma, soprattutto, è quel "tutto bene" che non posso interpretare, tanto oscuro me ne risulta il significato.

Non che lo creda 'legittimo', sia ben inteso, ma non mi libero della nostalgia d'aver perso tutti i treni, d'aver forse mancato clamorosamente l'appuntamento con la mia stessa realizzazione, d'aver omesso di fare di meglio e di più per una anche fuggevole porzioncina di felicità, sì da sospettare d'essere stata troppo connivente proprio con quella noia che avvelena l'esistenza.

Magari, invece, tàccio come singolare una sventura che è di tutti. No, non esageriamo, va': non di tutti, ma certo di molti. Molti tra alcuni di noi.
Questo logorìò d'analisi, questa sete di armonia ed appagamento, questa voglia di trasparenza cristallina nelle scelte nella supponente ricerca di  equilibrio definitivo e stabile sono incomunicabili, li si può soltanto sentire come atroci stilettate nelle proprie carni, e la loro soddisfazione ipotetica, nel contempo, presupporrebbe la collaborazione proprio degli altri, quegli stessi altri impossibilitati a comprendere.

Signore care dei libercoli a fumetti "Torre di Guardia", come fate a non accorgervene: la vita è un inferno, abisso di lacrime addomesticate in sorrisi di prassi, perché essa è, soprattutto, suprema e crudele ignoranza.
Ma davvero l'aspettate l'Apocalisse minacciata nei vostri opuscoli? E davvero ritenete che, poniamo, un mondo senza ingiustizie, senza fame, senza guerre, in cui gli animali feroci diventano vegetariani e si stendono a fianco dei bimbi sui praticelli verdi (ma l'erbetta inglese chi l'ha seminata? Sempre Lui, riconciliato con tutti noi, ex-cattivi, ex-empi, ex-ribelli? Che gentile: grazie.), renderebbe l'Uomo felice?
Pensate forse, ingenue creature, creature infinitamente sciocche baciate dalla fortuna d'aver avuto in dotazione un cervello facilmente sedabile, che felicità sia 'benessere'?

E l'Amore - per esempio -, l'amore che finisce e fa agognare nuovo amore, dove lo mettete?
Pensate che finirebbe anche l'amore, o che ad esso si sostituirebbe, per di più eternamente, un infinita pace dei sensi a guisa d'angeli, o di morti?
Ed il bisogno d'essere compresi nei rapporti infraumani, il bisogno d'usare la stessa inequivocabile lingua, di condividere perfettamente la stessa gioia, di sentirsi appagati all'unisono, di levitare all'ascolto della stessa armonia, di scambiarsi pienezza di vita, di approfondire il pensiero?

E il bisogno disperato d'appartenere a quest'Immenso riluttante a concedersi, che a noi è dato soltanto desiderare, quale Eden potrebbe appagare?





4 commenti:

  1. uno dei tuoi più belli che ho letto

    chi l'ha seminata? chi la taglia, vorrai dire!!!
    ciao

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    1. Ciao Olympe.
      Quanto mi piace la tua capacità di guardare dietro l'angolo! :)

      Grazie.

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  2. "E il bisogno disperato d'appartenere a quest'Immenso riluttante a concedersi (...), quale Eden potrebbe appagare?"

    Saldare la frattura (o sanare la lacerazione), coniugare ciò che è solo se separato, sono l'illusione, il pannicello caldo, la coperta di Linus, la falsa coscienza, la comodità del nulla, la fuga dall'esistenza senza voler veramente morire.
    Possiamo essere ciò che più autenticamente siamo unicamente nella condizione di separati. E da questa distanza, dalle distanze, imparare quotidianamente a richiamarci.
    Ma confondere questi suoni con il nome... è solo una velleità.

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    1. Ti ringrazio molto per l'attenzione e per le tue bellissime riflessioni: sono così amare, così vere, così stoiche...

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