sabato 29 giugno 2013

Tipi -13-

In sunto, ciò che mi lascia stupefatta, è la loro indiscutibile abilità a comportarsi come se quel dato comportamento fosse non solo naturale, ma pure congruo.

Loro sanno, perfettamente, che stare al mondo significa impelagarsi nelle sue regole di massima, aderendo a quel che pare il generale buonsenso e le norme della loro comunità,  e che chi non sa farlo o non può - a meno che non sia icona pubblicitaria di un anticonformismo ostentato - soccomberà presto e senz'ombra di dubbio. Ciò basta a rendere sospetta  la loro stessa sedicente "scelta" di appartenenza e di adesione. Abdicare ai propri bisogni più originalmente umani in nome dell'ordine del consorzio di appartenenza e delle comodità conseguenti a me pare alto tradimento verso quella porzione di libertà (d'amare, d'esprimere, di dissentire, d'essere) che non ledendo in alcun modo quella altrui resta dovere verso sé stessi.

In fondo sono molto democratici: rispettano la dittatura delle maggioranze. Democrazia, infatti, non ha attinenza con la libertà: confonderle assimilandole è davvero superficiale.

Quale contrappeso, costoro ingoiano e seppelliscono i loro più sotterranei e sinceri impulsi passionali, sentimentali, poetici, fantastici, incorrendo loro malgrado nella finzione o nella rinuncia.

Ci vuole un fisico bestiale a fingere per tutta la vita, perché l'eco delle emozioni perdute - che, chissà come, pur se aborrite o mai sperimentate ciascuno pare ugualmente conoscere, come fossero un patrimonio comune di memoria universale - affiora di notte, nei sogni, o in certi fulminei istanti, suggeriti dal crepuscolo, dall'aurora, dall'osservazione di un qualsiasi dettaglio di una qualsiasi cosa od accadimento. A patto che l'ottusità (male degenerativo progressivo) non abbia già completato lo sterminio dei neuroni della meraviglia e della conoscenza.






domenica 23 giugno 2013

Ordinaria infestante volgarità.

 
La cosa davvero necessaria, ora ed ormai, per me, è questa strenua fuga dalla volgarità.
La volgarità è fatale all'anima ipersensibile perché schiacciante, permanente; non solo molesta ma tediosa, non solo offensiva ma umiliante.

Pervasiva, serpeggiante e dilagante come magma silenzioso e letale nella notte della montagna che dorme pur borbottando nelle viscere, la trovo ovunque; ovunque subirla mi intossica.
Il giorno che incontrerò un umano libero da siffatto morbo sarò felice.
Ritengo, però, che alimentare simile illusione sarebbe tutt'altro che saggio.
Inoltre, pure la stragrande maggioranza delle illusioni è essa stessa volgare, alla fine godereccia, semplicemente edonistica.


C'entra poco con il linguaggio; spesso, anzi, attraverso il linguaggio si maschera, pensando di confondere gli esteti e gli ingenui.

Ed esattamente, che cos'è?
Oggi è la cifra del mondo, forse pure più di quanto lo sia stata sempre, e ciò che provoca poi è l'infestazione del brutto, ovunque, fuori e dentro di noi.
La volgarità è la corruzione, profonda, del pensiero, e trova terreno particolarmente fertile - è osceno parassita - nei moderni sofisti da quattro soldi, queste mezze calzette un po' acculturate che proclamano verità e giudizi e talvolta spandono supponenza sarcastica sulle stesse cose del mondo di cui sono insaziabili fruitori.

Eppure, quando penso alla sua liberatoria assenza, non immagino nulla di divino e sublime: continuo ad anelare a qualcosa che rimanga esclusivo appannaggio dell'umano e nell'umano realizzabile.
So che la perfezione non ci compete, ma la perfettibilità etica, invece, è doverosa.

Probabilmente, è una questione di buon gusto; un buon gusto, però, sostanziale di forma e concetti  che pretenderebbe un'universalità impossibile.

In particolare, la rifuggo nell'amicizia, nei rapporti sociali, in amore.
In particolare, non ho mai riscontrato esigenza affine in amico, conoscente  amante.
In conseguenza, da ciò ne derivano amicizie, conoscenze, amori votati all'estinzione: io non so sopportare, come fanno altri, la commistione con il brutto, che in loro suscita un morboso interesse, fingendo una tolleranza di cui non sono stata mai dotata.


*
 
Prima di gettare definitivamente la spugna ed abbandonare il ring c'è chi prova pervicacemente a combattere nonostante sia consapevole dell'esito a lui comunque sfavorevole: le anime coraggiose si accompagnano sempre alla malinconia e sono avvezze all'idea della morte.
Ho sempre ammirato quella particolare forma di coraggio di cui pochi s'interessano e che consiste nel non essere "nessuno", a nessun livello ed in nessun ambito, e purtuttavia seguire con scrupolo e riguardo estremo verso sé stessi ciò che all'indole par bello e giusto.
Ma il brutto non ho mai tentato di avversarlo e modificarlo: lo so invincibile, e ciò mi procura un'inconsolabile e perenne pena.

Ho avuto ed ho contatti con persone, sedicenti stimabili - secondo i miei canoni -, che prendono e lasciano la mia attitudine all'accoglienza morale secondo i loro metafisici ed altalenanti pruriti: sono volgari.
Ho avuto amori iniziati con premesse di magnanimità e superiore intesa, capaci di nutrire vicendevolmente sensi e "spirito", rotolati poi giù lungo la china dell'abitudine, del formalismo, e della pigrizia: volgari.
Sono angustiata da amicizie che concepiscono come normale un solo flusso, in andata, verso il loro indirizzo, di attenzioni e partecipazione emotiva e fattiva alla loro vita, barricati dietro all'assunto della loro debolezza e della mia forza, dati per inoppugnabili e certi: volgari.
I politici, gli antipolitici, gli osservatori politici, i conduttori televisivi, i giornalisti, il popolino che partecipa con le misere ramazze in mano e lo stomaco borborigmante ai loro lauti pasti di parole volgari, i satirici pagati da qualcuno di quel blocco, i blogger  narcisisti pseudo cazzuti, tutti quelli che sanno da che parte stare e ci stanno senza provare disagio e dubbio: volgari. Infinitamente.
Quelli che non trovano ridicolo credere in Dio, quelli che pensano che sia oggetto di riflessione il loro credere in Dio fregandosene degli uomini in sofferenza e difficoltà: volgari.
Quale strepito...

O cielo! Quasi tutto, allora; quasi tutto: volgare.

 
 



sabato 1 giugno 2013

Nottetempo -2- Ci vorrebbero un po' d'ordine e pulizia.

Per quanto mi strazi confessarlo - ché ciò corrisponde al rigirare nella piaga l'eterna lama acuminata della delusione cocente che solo il nostro simile sa magistralmente arrecarci -, temo di aver incontrato, nella mia esistenza, quasi esclusivamente individui deficienti dal punto di vista relazionale.
(Non escludo che ciò sia diretta conseguenza di un'oggettiva rarefazione nelle frequentazioni mondane ma il mio saggio pessimismo mi suggerisce che, semmai, tra le moltitudini, i fenomeni osservati in scala ridotta aumentano in  modo esponenziale).
 
Chi si trova in quella condizione difetta - naturalmente - di qualche cosa, più o meno essenziale alla serena ed appagante conduzione di un rapporto umano, sia di semplice socialità, sia d'amicizia, sia d'amore convenzionalmente inteso o segretamente custodito nell'anima.
 
L'elemento la cui assenza grava più di ogni altro, è la voglia e la capacità di regolare il  linguaggio su di una sintonia  ed un vocabolario condivisi.
Non so descrivere quanto io mi senta ormai disgustata, ferita ed orribilmente annoiata dal suo cattivo e avarissimo uso, perché, di certo, se c'è una cosa di cui sento prepotente bisogno è l'incontro in senso dialettico con le persone, in un tentativo di accoglienza e riconoscimento reciproci semplicemente umani ma sostanziali, ricchi di contenuto e privi di fraintendimenti, ma il livello massimo  di cui ormai l'individuo è capace (o disposto ad accordare, o di cui si rammenta i termini) rimane confinato a gelidi intellettualismi o  mortificanti formalismi spesso mendaci e strumentali all'ottenimento di qualcosa e quasi sempre terribilmente mediocri.

Cristo, se è difficile esprimere qualcosa senza poter dire tutto!
"Morenismi", li chiama un mio amico.
Per forza. Sono gli scavi  del mio sottosuolo, talmente veri ed assurdi da non poter essere detti che in codice criptato, ovvero nel linguaggio intuitivo condiviso proprio di un'eventuale affinità elettiva.
Improbabile.

*
L'esistenza sta diventando un vero tedio, a causa di questo, e temo che la sola cosa da fare sia digerirne l'aspra verità con il massimo del decoro personale, finché si regge.

Come scrisse Hemingway? "Basterebbero un po' d'ordine e pulizia", pur nella consapevolezza che comunque tutto questo rimane niente, e niente, e niente.

(Non è stupefacente, per esempio, l'espediente di chi ha la fede, di chi, più o meno criticamente, decide di aderire ad una religione? Credere in Dio, cioè in qualcosa di invisibile ed intangibile, che non ti parla, che è massimamente indifferente ai tuoi tormenti - e che nelle gioie ti scordi ovviamente di ringraziare -, che a dispetto della sua sedicente onnipotenza non fa comunque nulla perché, pur se suo prodotto, sei uscito difettato dalla macchina e meriti una vita da incubo, anche se hai solo tre anni e sei nato casualmente in un Paese del Terzo Mondo, oppure sulle spiagge di un oceano che di tanto in tanto spazza via te e tutti i tuoi ammennicoli e stracci con uno tsunami più veloce di una saetta. Ma che vuoi farci: basta l'idea di "ordine e pulizia" che il Dio buono ripristinerà, prima o poi, per tacitare le angosce.)

Ma io non la penso affatto così: i niente sono di tante specie e fogge; rimane la minima libertà di scegliere il più adatto a sé stessi, il meno bugiardo, il più coerente.
E' orribile avere la capacità di scorgerlo e non poterlo afferrare per ragioni estranee alle proprie forze ed alla propria volontà.
Essere schiavi per indigenza, è orribile.
Essere schiavi di fatto e liberi dentro.
Sapersi vivi e vivere da morti.

E non poter far intendere a nessuno quanto sia grande simile ingiustizia.