giovedì 3 dicembre 2015

"Piccola anima smarrita e soave..." -3- (la tana)

- A chi riesce conviene parcellizzarsi, ché, tanto, non è possibile vivere interi.

- Esortazione pleonastica e completamente inutile, d'altronde: la stragrande maggioranza delle persone lo fa senza alcun bisogno di starlo a pensare.

- La propensione all'integrità supererebbe di gran lunga in valore sia l'intelligenza pura sia il sentimento, ma rimane appannaggio di qualche individuo disgraziato, quasi puro ed inevitabilmente reietto. Da un punto di vista strettamente umano ha inoltre l'effetto, se  protratta ed ostinata, di disintegrare il suo stesso portatore sano.

Rimane, quale ultima roccaforte salvavita, una scelta volontaria di pausa in un limbo indefinibile, nella compassionevole illusione che qualcosa, nel mondo-di-fuori o nella propria personale fornace di consapevolezze e saggezza, cambi o si sviluppi: caparbia resilienza, in fondo,  sulla cui insensatezza non si nutre alcun dubbio a livello razionale.

- In verità non passa grande differenza tra una simile ideale astensione al vivere "sociale" ed il ricorso alla tana da parte della preda braccata.
Tutte le persone ostinatamente fedeli ai propri principi etici sono potenziali prede, quasi sempre spacciate, senza diritto alla speranza. L'aderenza a se stessi -che si voglia considerare virtù o difetto poco m'importa- non permette scelte.
Qualsiasi persona ragionevole sa perfettamente che ogni libertà passa attraverso la detenzione dei mezzi economici per la sopravvivenza. Per la precisione, la libertà è bandita totalmente nel Mondo da quando questo si regge sul Capitalismo, che  millanta  piuttosto il liberismo e gioca sull'assonanza. Perfino se mi convincessi completamente della mia stessa resistenza prettamente fisica (cosa improbabile, visto lo stato delle mie vertebre piuttosto osteoartritiche ), non potrei concedermi il lusso di dedicarmi ai pellegrinaggi stile cultura hippie come sta facendo il mio caro ex-marito che però ha impiego fisso e pure futura pensione complementare: il bello delle illusioni di libertà possibili in questo sistema è che vanno, pure loro, parcellizzate nel significato, sì che piccoli e grandi borghesi  si convincano di non esserlo poi così tanto e non in modo irreparabilmente ripugnante quale, invece, è.

 


mercoledì 30 settembre 2015

"Piccola anima smarrita e soave..." -2-

La mia seconda lucida consapevolezza di post-cinquantacinquenne, è che sarebbe stato meglio per me concludermi definitivamente a cinquanta, limite oltre il quale mentre  le energie collassano più o meno precipitosamente in caduta libera verso la fossa avvicinando il disonorevole e penoso deterioramento psico-fisico  della vecchiaia, ciascuno degli istanti  miracolosamente strappati al mestiere della sopravvivenza materiale in cui ci si apparta con se stessi e ci si ascolta,  vibra ed assorda di  ridondante eco nel frastuono interiore della più assoluta solitudine.

Nel caso di  organismi particolarmente dotati e fortunati, solidi e sani e potenzialmente longevi, poi, potrebbe capitare di intossicarsi così tanto della noia che i conspecifici recano -o dall'amarezza, o dal disgusto-, che il vivere senza la possibilità (al solito, sempre economica) di sottrarsene equivale ad una penosa malattia, alla lenta agonia della loro piccola, soave e smarrita, anima.
Quel che segue, allora, in determinate indoli, non può che essere avvilente e straziante se non si è prima saputo o potuto edificare il proprio personalissimo rifugio, materiale ed immateriale, in grado di proteggere dall'immondizia del mondo e dagli stessi propri desideri sconfitti: è una questione sottile, legata all'ipersensibilità personale, ai riverberi ed ai sogni della parte più sotterranea di noi, ma anche, molto più volgarmente, una questione crassa ed ottusa, priva di elementi particolari di elettività, quali la relativa serenità economica e  fisica.

E' prepotente anche la voglia di religiosità che illuda nel riscatto -ché è questo che ha originato ogni dio-, ma la fede, per definizione e di fatto, non si può scegliere e se non c'è non è possibile autoingannarsi.
Rimane così una sorta di  veglia dannata da animale braccato,  tesa come la corda che scocca la freccia, e la freccia son io, che vibro e mi interrogo  sullo stare o sull'andare, con l'onesta voglia di centrare un pretesto, perché -ricordo, e qualche caparbio ottimista mi ricorda- vivere è stato anche bello, di tanto in tanto.

Ciò premesso, sono oltremodo dispiaciuta: per come vanno le cose, ormai, sento d'aver esaurito definitivamente  la capacità di dare credito agli altri, tanto gratuita e spontanea solo fino a ieri.
Credo d'aver idealmente abbandonato il branco umano -probabilmente anche perché è emerso in modo inconfutabile che di me può agevolmente fare a meno- da quando non mi riesce più di credere all'onestà intellettuale di quasi nulla di quel che dice e fa nella maggioranza dei casi, ed anche, nel contempo, da quando mi appare sempre più frequentemente chiara la dilagante deriva schizofrenica che regola i rapporti umani.

Nel corso degli ultimi mesi, in occasione di incontri casuali ed imprevedibili, due (evidentemente pseudo) amici  han finto di non riconoscermi, mentre un  anno fa ho interrotto, per pietà verso me stessa e mio malgrado, una frequentazione di una vita intera per sottrarmi alla squallida pochezza di sentimento e contenuti che la caratterizzava (e non certo per mie mancanze o pigrizia).
Rapporti viscerali, filiali, drammaticamente negati; persone ieri profondamente vicine che dimenticano che tu esisti; amici, amori, speranze, rivoluzioni sempre più smaterializzati e virtuali: triste epilogo per una vita così appassionata e attiva  prima.
Era tutto un gioco, con pegno finale.





giovedì 30 luglio 2015

"Piccola anima smarrita e soave..." -1-

Giacché,  pur costituendo la numerologia esclusivamente un dileggio senza troppa importanza, ho appena superato senza possibilità di appello la soglia dei cinquantasei anni (e lascio, anche figurativamente, il numero più spigoloso di un'età anagrafica), e poiché non mi sento neppure tanto bene, amerei rendicontare a grandi linee quel che mi pare di avere capito.
Penso sempre più  frequentemente alle ultime parole dell'imperatore Adriano nel capolavoro di Marguerite Yourcenar "Piccola anima smarrita e soave, ... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...": la solennità delle morti è commovente, ma non tanto quanto la consapevolezza delle innumerevoli illusioni che abbiamo consentito in vita. Bisogna cercare d'essere esatti, prima o poi, per non diventare ridicoli.

E' però necessaria una premessa.
Nulla, di quel che si dice e si pensa o si crede di pensare può vantare integrità e purezza: impermanenza e relatività sono la cifra del nostro destino e del mondo. Sarebbe opportuno tacere, sempre, se non fosse che per quello ci aspetta, imperturbabile, la prossima eternità e, nel frattempo, ci si cincischia con ridicole chiacchiere, generalmente supponenti.

L'insegnamento più importante è di una banalità sconcertante: nel dire qualsiasi cosa, su qualsiasi argomento, noi sfondiamo sempre porte aperte.
Non c'è affermazione che non possa non vantare solidarietà ed affinità ideali o culturali con qualcuno che, combinazione, è spesso l'interlocutore del momento.
Numericamente, gli accoliti ed i simpatizzanti di qualsiasi proclama saranno sempre un discreto stuolo , perfino nelle dichiarazioni più impopolari ed eccentriche.
Il dramma è più sottile: quegli usci spalancati danno quasi sempre in stanzette piccine, asfittiche, deprimenti, spesso vuote, e quando invece collegano ad un labirinto, questo è una trappola di vicoli ciechi. L'istinto di gemellaggio a tutti i costi è in noi invincibile e va a discapito, quasi sempre, della verità o del coraggio.
Nella stanza d'ospedale che vede accomunati alla degenza l'imprenditore milionario con proprietà per villeggiatura in Sud-America e l'operaio dalle garanzie lavorative sempre più precarie e salario miserabile, la compassione reciproca per le rispettive fragilità fisiche li renderà affini, sorprendendoli, su di un'eccezionale quantità di opinioni, soprattutto filosofeggianti e molto late. E' una recita ipocrita, ma inconsapevole: la paura, l'angoscia della seppur temporanea solitudine, li spinge ad amare chi nella loro vera indole odiano, o chi, in ogni caso, sarebbe più intellettualmente onesto odiare. In questo caso il privilegio dell'uno esiste grazie all'affossamento della vita dell'altro, eppure entrambi decidono di dimenticarlo, per reciproca convenienza morale.
" Buona parte dei mali del mondo provengono dall'aver uomini o troppo ricchi o disperatamente poveri... ": si può forse fingere di non saperlo?

Risulta prudente, allora, non credere a nessuno, non cedere alla tentazione di provare il mezzo gaudio che ci pacifica, quello stratagemma un po' meschino che ci coinvolge troppo spesso e  atto a  stemperare l'acido rigurgito della realtà, che rimane invece, di fatto e per definizione, indigeribile, ma anche a legittimare impropriamente l'alibi a non approfondire, scavare a fondo, sottoporsi ad indagini ed auto-indagini, combattere quel che sentiamo ingiusto.



venerdì 19 giugno 2015

Equivoci di massima

In questa osmosi perenne e dolorosa, sì che quel che é dentro esce e quel che è fuori entra, e quel che è dentro è straziato e quel che è fuori è volgare e stupido, le difese sono progressivamente distrutte: la sensazione di agonia irreversibile è così netta e chiara da regalare una calma quasi perfetta.
 
Stiamo a vedere quanto duri, campionessa dell'autodistruzione...

Ho un'enorme ammirazione per gli stacanovisti del vivere, quelli che mentre ogni cosa e tanti loro simili muoiono o soffrono, vanno a sottoporsi a puntuali terapie inutili per i dolori di schiena.
E' un'ammirazione schifata -lo ammetto-, probabilmente molto simile all'oscura ambigua fascinazione che talvolta ci irretisce in uno spettacolo macabro od osceno.
Ammiro, con lo stessa sensazione di nausea, perfino quelli che conciliano, sostanzialmente, sullo stato inamovibile della realtà che li circonda, come coloro che annaspano in modo commovente per tenersi a galla nel sistema che sentono come il solo possibile, e che legittimano in continuazione, pure se quello stesso sistema umilia e stritola e ridicolizza innanzitutto il loro libero pensiero, e poi la loro vita materiale.
In qualsiasi modo vogliono aderirvi, ed io non riesco a comprendere -se non nella propensione all'appartenenza ai "normali"- cosa, tra l'intelligenza, la dignità, il desiderio del bello, sia morto prima.
Perché si è stati disposti ad illudersi sull'assurda possibilità di un "capitalismo etico", piuttosto che impegnarsi, umanità tutta, nella creazione di un socialismo vero?
  

Da un punto di vista oggettivo, lo so, l'individuo non può nulla né contro il male esterno a lui né contro le sue stesse personali sventure -quelle che influenzano la sua intera esistenza, come nascere in un luogo della Terra anziché in un altro, appartenere ad un determinato censo, sviluppare una malattia genetica, trascinare una sua certa storia passata,  ecc.- , ma essendo egli una creatura senziente ed anche sufficientemente logica, spesso  non ha alcuna alternativa al porsi domande senza sosta, ad avvertire un orribile disagio nel patire oppure osservare ingiustizie ed offese, a provare un mortificante senso di impotenza nell'assistere all'avvilimento dei valori che avvertiva come fondanti del senso di umanità.

Così credo io.
Ed invece sbaglio, perché generalizzo.
L'individuo non esiste, se non nelle elucubrazioni private che ciascuno di noi, nel suo proprio intimo, elabora.
Infatti, non capisco assolutamente più le ragioni di nessuno e nessuno, nessuno al mondo, mai, ha capito una mazza delle mie.
 
 

venerdì 22 maggio 2015

Tipi -22- i rivoluzionari de noantri

In fondo, sono indici di superbia e vanità anche l'affermazione o la convinzione che l'anima umana sia nella maggioranza dei casi complessa e pluristratificata.
A me pare, piuttosto, troppo spesso elementare; elementare in modo desolante.

Dimentichiamo quasi sempre che tutte le cose, e similmente i costrutti mentali, sembrano difficili prima di diventare facili, fino  lambire la banalità.
Quella tale azione, manovra, chiosa filosofica, serratura, aforisma ermetico, stringa binaria, quasi sempre ci possono risultare ostici fino a sembrarci inintelligibili solo fino a quando ci mancano gli strumenti di conoscenza, ovvero fino a quando riempiamo quella tal lacuna di ignoranza.

Spesso la faccenda va allo stesso modo in una prospettiva speculare: supponiamo di sapere o poter fare, o saper fare all'occorrenza.
Attribuiamo, con atto di fede, all'esistenza di una nostra sedicente complessità umana misteriosa, così misteriosa da risultare sconosciuta fino a ciascuno di noi -legittimo proprietario della sua stessa anima-, capacità ed indole straordinari, ma con ogni probabilità inesistenti.
Ci illudiamo che qualche metamorfosi cosmica possa, per esempio, trasformare il coniglio in leone.

Favoleggiare ci serve per zittire l'intuizione della nostra stessa miseria e pochezza: accettare umilmente la nostra stessa meschinità sarebbe comunque atto di coraggio.
Ciò che è certo è che nessuno che non abbia mai trovato neppure l'ardire di lasciare famiglia o partner istituzionali, garanzie sociali e tiepidi noiosissimi focolari per rischiare un Amore romantico, non si spenderebbe mai nella Rivoluzione che a parole decanta, esorta, invoca.



domenica 19 aprile 2015

Tipi -21- I social-nulli

Imperversano violentemente nei social, impazzano, son tanti,  hanno carattere virale ed ammalano anche i pochi sani.
Sanno a malapena leggere e scrivere e quando, nella pochezza del loro spirito umoristico, trovano qualcosa divertente o spiritoso, o si augurano che lo sia per il loro piccolo pubblico, spesso lo manifestano trascrivendo l'ilarità così: "indicativopresenteterzapersonasingolareverboavere, indicativopresenteterzapersonasingolareverboavere, indicativopresenteterzapersonasingolareverboavere".
L'esclamazione di dolore, invece, la scrivono, assai diligentemente, coniugando lo stesso verbo con uguali modo e tempo, ma in seconda persona singolare.
Ignorano che le citazioni di frasi, poesie, testi altrui vanno sempre almeno virgolettati, altrimenti si tratta di plagio ed appropriazione indebita. Purtroppo non sanno che cosa siano.
 
Sono quasi tutti un po' filosofi esistenzialisti, nel senso che s'impegnano moltissimo nel cercare in rete aforismi già confezionati (cerchi due trovi tre) che postano poi corredati da immagini di sedicenti simboli: fiori e nuvole e coniglietti e bimbi in fasce e cuoricini e stelline, cuccioli e cartoon e dipinti, in una sconcertante entropia da bazar del trash. Che provengano da Maestri del pensiero o della letteratura, o dall'ultimo degli scribacchini di moda, o attorucolo, o cantantuncolo, o soubrettina, non fa differenza: per valutare le differenze delle cose bisogna se non altro non ignorare d'essere ignoranti.
 
La vanità muove il mondo, ma qualcuno, almeno, ancora se ne vergogna.
Non i social-nulli: postano continuamente autoscatti per l'ebbrezza di contare i "like" ipocriti e piuttosto grotteschi degli imbecilli che li seguono.
Terribilmente tristi quelli delle donne che atteggiano le labbra a canotto ignare -io spero- di quanto sia volgare quel che evocano, scherno compreso.
Quelle più patetiche un mio amico le definisce "carampane": è congruo, ché nello spirito, tutto sommato, lo sono.

...
 
Che altro aggiungere?
Forse questo:
"indicativopresentesecondapersonasingolareverboaveremé!" 
 


 

martedì 24 marzo 2015

Tipi -20-

Assomigliano ad uno spettacolo pirotecnico: il loro crepitante fuoco artificiale, dopo quello sfrigolìo  effimero e vano, si conclude con una misera codina di fumo morente, preludio al successivo niente.

Son così negli amori e nelle amicizie, per la semplicissima ragione che, essendo la loro interiorità totalmente assorbita da un ego volgare ed ignorante d'autentica affettività, ma ostinatamente risoluti ad atteggiarsi ad anime belle, la loro massima capacità comunicativa si consuma velocemente dopo qualche esplosione di spesso ridondanti parole bugiarde.

A riempire il vuoto ci vuole ben altro.
Per favore, scoppiettate lontano da me.  

martedì 24 febbraio 2015

Dove saranno i vivi?

Disseziono, con scrupolosa attenzione, il corpo informe e mostruoso dell'angoscia totale in cui sono tumulata: è così esaustivamente umana, così omnicomprensiva e vasta e democratica, che mi par quasi bella. A suo modo è un'opera d'arte finita e perfetta: da qualsiasi parte la guardi pare frutto di onesto talento e fervente immaginazione.
Invece è il frutto, maturo ed inevitabile, solo di una certa capacità di sentire intensamente e di un po' di intelligenza. L'acume delle intuizioni e delle deduzioni, sui fatti della vita e sulla natura umana, è una vera calamità, una condanna a morte senza possibilità di appello.

Qualcuno -forse perfino io-, in altre condizioni, un tempo, ne ha fatto una specie di bandiera, crogiolandosi nella convinzione che ciò bastasse a renderlo migliore, elevato dalla turpe moltitudine, ma poi, se gli accadimenti dell'esistenza e del destino cui l'assurdità lo ha votato, incrudeliscono al punto di togliergli energie e mezzi di sussistenza, se ogni certezza e solidità è perduta, se gli amici sono scomparsi rivelando così l'esatta entità delle loro menzogne passate e la vacuità delle loro parole solo formalmente affettuose, la bandiera diventa feretro di solitudine interiore che avvolge un'anima sfinita.
Chiunque possieda l'ambizione e la fatale attitudine di far aderire il proprio pensiero alle azioni, chiunque non possa che vivere in simile integrità, è votato alla disperazione, perché niente, della realtà in cui dovrà necessariamente immergersi, sarà per lui indolore, o facile, od anche pure solo neutro ed indifferente.

"Avanzo lentamente, defunto, e la mia visione non è più mia, non è più niente: è quella dell'animale umano che ha ereditato senza volere la cultura greca, l'ordine romano, la cultura cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all'interno della quale io percepisco.
Dove saranno i vivi?"
(F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine)



 
 
 

lunedì 9 febbraio 2015

Potenti parole

Quando si farfuglia sull'insostituibilità del linguaggio per gli umani -dotazione, cioè, la cui elaborazione raffinata rende compiutamente umani-; quando, tronfi, noi umani decantiamo con compiacimento più o meno sotteso le meraviglie del sistema fonatorio che ci mette in condizione di parlarci, o quelle intellettive che consentono la stesura scritta dei pensieri, io mi sento invadere, sempre più spesso,  da una grande disperata tristezza con forte deriva ad amaro sarcasmo, perché conseguentemente mi sovviene l'inevitabile vacuità della maggioranza dei dialoghi che la nostra pigra e mediocre innata tendenza alla reiterazione dei rituali e cerimoniali comunicazionali ci consente di scambiare.
 
Le meraviglie della dialettica non salvano dalla solitudine o dall'isolamento interiori: sono esperienze, queste,  che non è possibile condividere se non formalmente ed appena epidermicamente, e quasi sempre sono legate ad una preesistente condizione di privilegio, quali il censo ed il ceto sociale d'appartenenza, che ne hanno favorito l'assimilazione.
Naturalmente, esistono molte varietà di linguaggi, ed in ognuna di esse gli scambiatori-umani sono costretti, con più o meno desta consapevolezza, a recitarne o mimarne come formule liturgiche gli elementi costitutivi.

Se agli albori della sua formazione uno degli scopi del linguaggio (che presuppone lo sviluppo delle facoltà intellettive)  è stato quello di prevaricare i gruppi di ominidi che ancora non vi erano arrivati; se è stato, dunque, uno strumento (tanto per cambiare) di potere tra gli uomini, ho l'impressione che non si siano fatti altri passi avanti da allora.

Non mi spiego, altrimenti, come mai quella tizia, che di mestiere fa la parlamentare-ad-una-o-due/tre-presenze-a-settimana, come centinaia d'altri suoi simili che stanno sul nostro pubblico libro paga, non abbia il minimo pudore ma abbia invece la tracotanza di affermare che il fatto di "non stare a produrre bulloni" ma di esercitare "attività intellettuale" (ché così si sentono molti politici: intellettuali), legittima il fancazzismo ed il parassitismo.


 


domenica 4 gennaio 2015

E quindi? Quindi non so.

Sono un'illusionista.
Mi illudo, pedestremente, sempre delle stesse illusioni, nonostante io sappia perfettamente tutto quel che so.
Che è poco, naturalmente: e questa è la prima cosa da sapere, il Sapere n° 1.
Però quel poco che so lo so.
E  so pure di illudermi.
L'illusione ad occhi aperti è la più feroce e la più colpevole verso se stessi, ma, senza, la gente come me  muore.
Quando era gentile, fino a soave, intiepidiva il consueto gelo del nulla intorno, eppure l'illusione, negli spiriti onesti, ha vita breve.
Poi rinasce, come la ginestra leopardiana, e ri-muore e rinasce, perché in fondo non c'è scampo alcuno: è un ciclo inesorabile e dannato.

*
Ho un'opinione sempre più severa degli appartenenti al genere maschile.
Constato che la maggioranza di loro è affetta da grave sindrome di infantilismo e mammismo.
(Le imperdonabili colpe del morboso amore materno ricadono sui figli.)
Ancora una volta gli animali non  umani fan meglio di noi, mentre gli specisti continuano a minimizzare.
Si diceva di illusioni...

*


Per sommo paradosso, la mia perniciosa attitudine ad amare (non in quel senso, eh, ché in quel senso non ci proverò mai più) qualcuno solo perché per un (peraltro breve) periodo riesce a sostenere una conversazione con una qualche scaltrezza e certa abilità mimetica (pur se mai a stimolarne una), mi sta allontanando definitivamente da tutti. Succede sia perché le conversazioni indotte e stimolate da una certa meraviglia ignorante (sono bestia stravagante) sono in sé e per sé fasulle e lontane dalla vera essenza di chi le inizia, sia perché l'esperienza reale del conoscere un individuo prima solo favoleggiato ha la proprietà di far cessare il desiderio.
Com'è arcinoto è il desiderio che ci muove, null'altro: siamo piuttosto banali nella nostra pretenziosa complessità.
Bene: sono interessata a spendere energie solo nei rapporti che superano la prova di siffatta miserabile ed alquanto mortificante caduta degli Dèi.

Sapere n°2: nessuno resterà in piedi.

Comprendo che l'approdo a questa mia sostanziale nudità interiore possiede un senso ed ha funzione.
Devo scoprire quali.

*

Pare che l'esasperazione e pubblicizzazione del dolore nasconda vanità. Non voglio macchiarmene, e la cloaca dei vizi là fuori già è tracimata abbastanza ed in modo intollerabile.
Vorrei dire anche di qualche felicità, o non-dolore e non so dove scavare per scovarla.
In sé dovrebbe trattarsi di qualcosa che possieda un significato assoluto ed imperituro, anche piccolo. Non la trovo tra gli elementi dell'oggi, non c'è.
Devo ricorrere, ancora e sempre, alla memoria: una canzone da qualcuno dedicatami a celebrazione di un'emozione poi cessata; uno scorcio; una vista con vento; una poesia; quell'esperienza di lievitazione nel bosco, la volta che sorpresi, sola al crepuscolo, il gufo intento a spiarmi dal ramo dell'abete sopra la mia testa.

Di una vita quasi conclusa, piena di eventi ed atti, trattengo nella mano meno di una decina di reminiscenze labili e vaghe, apparentemente non abbastanza significative, ma lì so -ricordo con pienezza- d'esserci stata, aderente, tutta, senza frammenti sparsi e sciupìo d'anima.
E' buffo, ed un po' stupido, ma onestamente vero. E quindi?
Non so.