domenica 4 gennaio 2015

E quindi? Quindi non so.

Sono un'illusionista.
Mi illudo, pedestremente, sempre delle stesse illusioni, nonostante io sappia perfettamente tutto quel che so.
Che è poco, naturalmente: e questa è la prima cosa da sapere, il Sapere n° 1.
Però quel poco che so lo so.
E  so pure di illudermi.
L'illusione ad occhi aperti è la più feroce e la più colpevole verso se stessi, ma, senza, la gente come me  muore.
Quando era gentile, fino a soave, intiepidiva il consueto gelo del nulla intorno, eppure l'illusione, negli spiriti onesti, ha vita breve.
Poi rinasce, come la ginestra leopardiana, e ri-muore e rinasce, perché in fondo non c'è scampo alcuno: è un ciclo inesorabile e dannato.

*
Ho un'opinione sempre più severa degli appartenenti al genere maschile.
Constato che la maggioranza di loro è affetta da grave sindrome di infantilismo e mammismo.
(Le imperdonabili colpe del morboso amore materno ricadono sui figli.)
Ancora una volta gli animali non  umani fan meglio di noi, mentre gli specisti continuano a minimizzare.
Si diceva di illusioni...

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Per sommo paradosso, la mia perniciosa attitudine ad amare (non in quel senso, eh, ché in quel senso non ci proverò mai più) qualcuno solo perché per un (peraltro breve) periodo riesce a sostenere una conversazione con una qualche scaltrezza e certa abilità mimetica (pur se mai a stimolarne una), mi sta allontanando definitivamente da tutti. Succede sia perché le conversazioni indotte e stimolate da una certa meraviglia ignorante (sono bestia stravagante) sono in sé e per sé fasulle e lontane dalla vera essenza di chi le inizia, sia perché l'esperienza reale del conoscere un individuo prima solo favoleggiato ha la proprietà di far cessare il desiderio.
Com'è arcinoto è il desiderio che ci muove, null'altro: siamo piuttosto banali nella nostra pretenziosa complessità.
Bene: sono interessata a spendere energie solo nei rapporti che superano la prova di siffatta miserabile ed alquanto mortificante caduta degli Dèi.

Sapere n°2: nessuno resterà in piedi.

Comprendo che l'approdo a questa mia sostanziale nudità interiore possiede un senso ed ha funzione.
Devo scoprire quali.

*

Pare che l'esasperazione e pubblicizzazione del dolore nasconda vanità. Non voglio macchiarmene, e la cloaca dei vizi là fuori già è tracimata abbastanza ed in modo intollerabile.
Vorrei dire anche di qualche felicità, o non-dolore e non so dove scavare per scovarla.
In sé dovrebbe trattarsi di qualcosa che possieda un significato assoluto ed imperituro, anche piccolo. Non la trovo tra gli elementi dell'oggi, non c'è.
Devo ricorrere, ancora e sempre, alla memoria: una canzone da qualcuno dedicatami a celebrazione di un'emozione poi cessata; uno scorcio; una vista con vento; una poesia; quell'esperienza di lievitazione nel bosco, la volta che sorpresi, sola al crepuscolo, il gufo intento a spiarmi dal ramo dell'abete sopra la mia testa.

Di una vita quasi conclusa, piena di eventi ed atti, trattengo nella mano meno di una decina di reminiscenze labili e vaghe, apparentemente non abbastanza significative, ma lì so -ricordo con pienezza- d'esserci stata, aderente, tutta, senza frammenti sparsi e sciupìo d'anima.
E' buffo, ed un po' stupido, ma onestamente vero. E quindi?
Non so.