martedì 24 febbraio 2015

Dove saranno i vivi?

Disseziono, con scrupolosa attenzione, il corpo informe e mostruoso dell'angoscia totale in cui sono tumulata: è così esaustivamente umana, così omnicomprensiva e vasta e democratica, che mi par quasi bella. A suo modo è un'opera d'arte finita e perfetta: da qualsiasi parte la guardi pare frutto di onesto talento e fervente immaginazione.
Invece è il frutto, maturo ed inevitabile, solo di una certa capacità di sentire intensamente e di un po' di intelligenza. L'acume delle intuizioni e delle deduzioni, sui fatti della vita e sulla natura umana, è una vera calamità, una condanna a morte senza possibilità di appello.

Qualcuno -forse perfino io-, in altre condizioni, un tempo, ne ha fatto una specie di bandiera, crogiolandosi nella convinzione che ciò bastasse a renderlo migliore, elevato dalla turpe moltitudine, ma poi, se gli accadimenti dell'esistenza e del destino cui l'assurdità lo ha votato, incrudeliscono al punto di togliergli energie e mezzi di sussistenza, se ogni certezza e solidità è perduta, se gli amici sono scomparsi rivelando così l'esatta entità delle loro menzogne passate e la vacuità delle loro parole solo formalmente affettuose, la bandiera diventa feretro di solitudine interiore che avvolge un'anima sfinita.
Chiunque possieda l'ambizione e la fatale attitudine di far aderire il proprio pensiero alle azioni, chiunque non possa che vivere in simile integrità, è votato alla disperazione, perché niente, della realtà in cui dovrà necessariamente immergersi, sarà per lui indolore, o facile, od anche pure solo neutro ed indifferente.

"Avanzo lentamente, defunto, e la mia visione non è più mia, non è più niente: è quella dell'animale umano che ha ereditato senza volere la cultura greca, l'ordine romano, la cultura cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all'interno della quale io percepisco.
Dove saranno i vivi?"
(F. Pessoa, Il libro dell'inquietudine)



 
 
 

lunedì 9 febbraio 2015

Potenti parole

Quando si farfuglia sull'insostituibilità del linguaggio per gli umani -dotazione, cioè, la cui elaborazione raffinata rende compiutamente umani-; quando, tronfi, noi umani decantiamo con compiacimento più o meno sotteso le meraviglie del sistema fonatorio che ci mette in condizione di parlarci, o quelle intellettive che consentono la stesura scritta dei pensieri, io mi sento invadere, sempre più spesso,  da una grande disperata tristezza con forte deriva ad amaro sarcasmo, perché conseguentemente mi sovviene l'inevitabile vacuità della maggioranza dei dialoghi che la nostra pigra e mediocre innata tendenza alla reiterazione dei rituali e cerimoniali comunicazionali ci consente di scambiare.
 
Le meraviglie della dialettica non salvano dalla solitudine o dall'isolamento interiori: sono esperienze, queste,  che non è possibile condividere se non formalmente ed appena epidermicamente, e quasi sempre sono legate ad una preesistente condizione di privilegio, quali il censo ed il ceto sociale d'appartenenza, che ne hanno favorito l'assimilazione.
Naturalmente, esistono molte varietà di linguaggi, ed in ognuna di esse gli scambiatori-umani sono costretti, con più o meno desta consapevolezza, a recitarne o mimarne come formule liturgiche gli elementi costitutivi.

Se agli albori della sua formazione uno degli scopi del linguaggio (che presuppone lo sviluppo delle facoltà intellettive)  è stato quello di prevaricare i gruppi di ominidi che ancora non vi erano arrivati; se è stato, dunque, uno strumento (tanto per cambiare) di potere tra gli uomini, ho l'impressione che non si siano fatti altri passi avanti da allora.

Non mi spiego, altrimenti, come mai quella tizia, che di mestiere fa la parlamentare-ad-una-o-due/tre-presenze-a-settimana, come centinaia d'altri suoi simili che stanno sul nostro pubblico libro paga, non abbia il minimo pudore ma abbia invece la tracotanza di affermare che il fatto di "non stare a produrre bulloni" ma di esercitare "attività intellettuale" (ché così si sentono molti politici: intellettuali), legittima il fancazzismo ed il parassitismo.